Siriano di origini armene, Avo Kaprealian, trent’anni, esperienze anche come regista teatrale, fotografo, traduttore oggi vive in Libano dopo essere fuggito dalla guerra in Siria come centinaia di migliaia di suoi connazionali. Houses Without Doors è il suo primo film – dopo l’anteprima alla Berlinale (sezione Forum) – è stato presentato nella sezione dedicata ai documentari internazionali del Torino Film Festival dove ha vinto il premio come miglior film: «Dal balcone di casa Kaprealian guarda il mondo intero. Ci fa sentire come i siriani e gli armeni rappresentino tutta l’umanità» ha scritto la giuria.

 

 

Nel 2011, all’inizio delle proteste contro il regime di Assad, da Damasco è tornato nella sua città natale, Aleppo, e ha cominciato a riprendere per le strade ciò che stava succedendo. «Il governo e le forze di sicurezza erano però informati del fatto che stavo filmando – racconta il regista – per cui sono stato fermato: mi hanno lasciato andare ma si sono portati via l’hard disk con tutto il girato. Avevo paura, quindi li ho lasciati fare, ma subito dopo ho ripreso a filmare».

 

 

Così Kaprealian viene fermato di nuovo, e stavolta non gli viene solo sequestrato il materiale per il suo documentario: «Mi hanno tenuto in carcere o per 23 giorni».
Quello che vediamo in Houses Without Doors è quindi la sua testimonianza a partire dalla fine del 2012, quando è stato rilasciato, il frutto della sua testarda decisione di continuare a documentare le sorti della città: «Per poter testimoniare gli eventi ho deciso di tenere la telecamera alla finestra, in angoli non visibili del mio quartiere». Oggi – «per non impazzire», dice – Kaprealian sta già lavorando ad un altro film, che continuerà idealmente la riflessione iniziata nel documentario ambientato ad Aleppo, anche se lontano dalla sua patria.