Gli argini della sinistra romana minacciano di cedere. Quelli in cui a fatica si era costretta un’area variegata, molto e forse troppo, veterana di divisioni e di guerre intestine. Domani per il candidato Stefano Fassina sarà il giorno dell’ultima chance: dopo la conferma della sua esclusione dalla corsa per il Campidoglio da parte del Tar, domani l’ultimo verdetto spetterà al Consiglio di Stato a cui i legali hanno subito presentato ricorso. Il responso sarà nel pomeriggio.

Intanto Fassina prepara il dopo. Comunque vada ha convocato per martedì i suoi 400 candidati, quelli delle liste per il comune e dei municipi (tutte escluse tranne le due che appoggiano il candidato presidente dell’VIII Andrea Catarci). Se ci sarà da festeggiare si festeggerà. In caso contrario Fassina anticiperà il lancio dell’associazione «Sinistra per Roma»: un contenitore politico per accogliere chi si è messo in moto in campagna elettorale, non solo i militanti della sua formazione, Sinistra italiana.

E qui sta il primo problema: il nuovo partito nato dalle ceneri di Sel aveva escluso dalle sue file le organizzazioni non disponibili a sciogliersi. Come la Rifondazione di Paolo Ferrero. La nuova associazione romana «supera» il problema. Fassina è chiaro: «Considero queste condizioni archiviate. Il processo costituente di Sinistra italiana e quello di Roma dovranno trovare una modalità per integrarsi. Sono consapevole che potranno aprirsi contraddizioni. Del resto l’esperienza romana ha dimostrato che ci sono nodi da affrontare: la cultura politica, le alleanze, l’idea stessa di un soggetto autonomo. Non si può avviare una fase costituente quando nel nucleo fondativo ci sono prospettive opposte. Se non facciamo subito chiarezza rischiamo di essere poco attrattivi. A me non interessa arrivare al primo congresso di Sinistra italiana, a dicembre, per fare una riedizione di Sel al più con qualche nuovo innesto».

Vero è che lo slancio di Si sembra già esaurito: nelle città in cui non si va al voto si è fatta qualche assemblea, ma le iscrizioni sono al palo. Per correre ai ripari, nel gruppo dirigente c’è chi vorrebbe anticipare il congresso. Ma è improbabile: l’autunno sarà dedicato alla campagna del referendum costituzionale.

Fassina è contrario all’anticipo e arriva al punto con un’analisi dura della débacle organizzativa che lo ha portato al limite dell’esclusione dalla corsa per Roma. Sulla quale Si aveva puntato di più. Visto che nelle altre grandi città – a parte Torino – le divisioni erano sconfortanti: a Milano la sinistra radicale distribuita fra Basilio Rizzo e il candidato Pd Sala; a Bologna fra Federico Martelloni e l’uscente Merola; e anche a Napoli, divisi in due liste benché entrambe con De Magistris. La settantina di comuni sopra i 15mila abitanti in cui si sono trovati candidati unitari consolano poco.

Su Roma, dunque, Si aveva puntato la posta più alta. E se domani il Consiglio di Stato non facesse il miracolo? Fassina stronca le teorie del complotto sugli errori della raccolta delle firme, si assume la responsabilità in prima persona. Ma al manifesto parla fuori dai denti. «Per chi ha la nostra cultura una falla organizzativa di questa gravità è un fatto politico. Il pasticcio delle liste deriva dal fatto che tutto è stato sulle spalle del sottoscritto e del nucleo di quelli che sono stati dentro il percorso dall’inizio». Sottinteso ma neanche troppo: non quelli che dentro Sel hanno provato fino all’ultimo a cambiare cavallo e poi lo hanno «sopportato». E stavolta non sembra un’accusa rivolta solo all’area che fa capo al vicepresidente del Lazio Massimiliano Smeriglio.

Il «chiarimento» arriverà dunque già prima della scelta del candidato da indicare come erede del prezioso gruzzolo di voti. Una scelta che dividerà, sembra inevitabile. Una scelta che Fassina promette, ma che non farà subito. Se n’è accorto chi ieri ha assistito al confronto fra lui e la candidata M5S Raggi all’ex Cinema Palazzo, a San Lorenzo, ospiti dei movimenti. Fra i due molto freddo e anche qualche momento di frizione.

Fassina non è l’unico a muoversi. Oggi, nella sede di un’associazione di Garbatella, si riuniscono quelli del «documento dei cento». L’incontro è stato proposto molto prima del precipizio delle vicende romane dall’ex coordinatore nazionale Ciccio Ferrara.

È l’area che all’assemblea di Sinistra italiana aveva messo in guardia dal non coinvolgere i sindaci e gli amministratori che ancora governano in coalizione. Oggi discuteranno il loro «manifesto». Per un soggetto ’aperto’, e per impedire, a quanto si capisce, che il nuovo partito si rinchiuda nella ridotta dei soliti noti della sinistra.