Stefano Fassina, tra Tsipras che riporta la Grecia alle elezioni e Lafazanis che lo contesta guidando la scissione da Syriza, lei con chi sta?
Non ha senso scegliere, hanno perso entrambi. La decisione di tornare alle urne è un aggravamento della sconfitta del 13 luglio, quando Tsipras ha dovuto sottoscrivere il nuovo memorandum «sotto ricatto», come ha detto lui stesso. Le elezioni possono portargli qualche vantaggio in termini di normalizzazione del gruppo parlamentare di Syriza, ma il risultato finale sarà un indebolimento del partito e quindi della sua leadership. Credo lo sappia anche Tsipras, la scelta di anticipare le urne in fondo testimonia la consapevolezza delle conseguenze negative del memorandum.
Non crede che con un nuovo mandato potrà guadagnare margini di interpretazione di quell’accordo? Magari strapperà la rinegoziazione del debito che adesso chiede anche il Fmi?
Il debito sarà ristrutturato comunque perché non è sostenibile, ma nel breve e medio periodo non avrà effetti. L’ulteriore deregolazione del mercato del lavoro, le privatizzazioni – cioè la svendita degli asset più profittevoli alle imprese pubbliche tedesche – sono già stati definiti, le condizioni del paese possono solo peggiorare. Promettere un’interpretazione «sociale» del memorandum è propaganda. Quando ti sei impegnato a fare un avanzo primario di 3,5 punti percentuali e tagli pesanti già da quest’anno puoi dire addio al sostegno al reddito.
Ma che alternativa aveva Tsipras?
Poteva almeno evitare di aggravare la rottura nel partito e provare a ricomporre Syriza attraverso un riconoscimento delle ragioni reciproche.
Avrà visto che Varoufakis non segue la minoranza.
Sì, ma queste sono due squadre che si dividono e si mettono a gareggiare quando hanno già perso entrambe. Per quello che possiamo, bisognerebbe aiutarli a trovare una ricomposizione. Altrimenti andrà disperso il patrimonio sociale faticosamente costruito da Syriza in questi anni.
Un partito che nove mesi fa pareva un esempio per la sinistra europea e che adesso si frantuma.
Hanno combattuto una battaglia disperata e sono stati lasciati da soli. La famiglia socialista europea si è allineata alle forze più conservatrici, la sconfitta era inevitabile.
È un colpo per tutta la sinistra, europea e anche italiana che già si divide sulla scelta di Tsipras. Podemos in Spagna e Sel in Italia per esempio la approvano.
Non sono d’accordo. Potrei esserlo solo se pensassi che con il memorandum la Grecia potrà riprendersi un po’, invece sono convinto del contrario. A breve si troverà a fare i conti con un’economia più depressa. E Syriza uscirà dalle urne più debole.
Riconoscerà però il valore democratico del richiamo agli elettori. In Italia abbiamo attraversato una crisi non troppo diversa tra governi tecnici e larghe intese, invocando invano le elezioni. Lì in nove mesi due elezioni politiche e un referendum.
Ma né il programma con il quale Tsipras ha vinto a gennaio né il risultato del referendum sono stati rispettati. Adesso le elezioni sono inutili, un esercizio virtuale, una ginnastica senza scopo. Chiunque vinca, il programma del prossimo governo è scritto fino alle virgole nel memorandum. I margini di manovra sono ridottissimi. A breve, con o senza ristrutturazione del debito, il paese si troverà con più disoccupazione e con i pochi pezzi di apparato produttivo che restano ceduti alla Germania.
Finale triste che aggrava le responsabilità storiche dei socialisti europei, e tra questi del nostro governo. Sarà almeno servito a qualcosa? Renzi otterrà da Berlino quei margini di flessibilità di cui ha bisogno per chiudere la legge di stabilità?
Renzi dopo aver dimostrato piena subalternità andrà a chiedere lo sconto per l’Italia, e forse uno sconticino in termini di qualche punto percentuale di deficit lo otterrà. Ma i nodi di fondo restano tutti, con queste politiche l’Italia assieme alle altre periferie dell’eurozona è condannata alla stagnazione e alla disoccupazione. Prima o poi il presidente del Consiglio pagherà un prezzo politico per questo.