Sale sul palco in camicia e cravatta da bravo ragazzo, cita Bennato, la vintage «isola che non c’è», quella che «ti prendono in giro se continui a cercarla», ogni volta che parte l’applauso – spesso – con la mano fa il gesto di non esagerare. Stefano Fassina non fa l’anti Renzi: di Renzi è l’opposto per natura e cultura. In una location a effetti speciali zero, il teatro Palladium del quartiere popolare romano di Garbatella, ieri ha convocato i delusi del Pd, come lui che è uscito dieci giorni fa. Nel giorno della festa dell’indipendenza degli Stati Uniti, attacca, «celebriamo l’indipendenza da una sinistra rassegnata e subalterna, vincente senza vittoria», «siamo donne e uomini che tra il Pd e il popolo democratico abbandonato dal Pd, hanno scelto il popolo democratico».

Sono arrivati in tanti, almeno un migliaio dalla «mitica» base Pd, sfidando l’afa e l’aria condizionata scarsa come si conviene a militanti d’antan, facce di sinistra popolare dai circoli di Giubbonari e del centro storico, dell’Aurelio Cavalleggeri, dell’Alitalia, di Capannelle, dove Fassina ha annunciato il suo addio al partito e ora il segretario allarga le braccia: «Il tesseramento è partito ma si reiscrivono in pochi, fin qui tre su quaranta». La scuola è stata una mazzata per molti, «la riforma più devastante», spiegano Melinda, amministratrice napoletana, e Monica Gregori, deputata. Ma anche il Jobs Act, come spiegano i lavoratori della Multiservizi di Roma, salutati dal palco. Alcuni non sono ancora usciti dal Pd, come Paolo, circolo Alberone, che l’altra settimana stava all’assemblea di Speranza e Bersani e non si rassegna: «Dicono le stesse cose di Stefano».

Non è proprio così, non più. Nelle prime file c’è mezzo gruppo parlamentare di Sel, Ferrero del Prc, Cesare Salvi (non parleranno dal palco), e poi Pippo Civati, Luca Pastorino, Sergio Cofferati, i professori Michele Prospero e Massimo D’Antoni. Del Pd c’è solo il deputato Alfredo D’Attorre, compagno di tante battaglie e oggi di viaggio verso Atene: «Tengo aperta la battaglia del Pd, finché sarà possibile», ma in molti lo danno in uscita. Fassina attacca su Renzi («non è un usurpatore del Pd, è l’interprete più abile della subalternità della sinistra», il Pd «vuole essere il partito degli interessi più forti, di Marchionne, del partito degli affari, del Lingotto»); dei socialisti europei che si schierano contro il governo di Atene, dice che hanno esaurito la «spinta progressiva»; sull’Europa non teme di pronunciare le parole «interesse nazionale»; se la prende con la nuova Unità che titola sulla Grecia «Tasche vuote, arsenali pieni»: «Rispetto la libertà di stampa, ma almeno si tolga dalla testata la dicitura di giornale fondato da Antonio Gramsci». Si scalda soprattutto su Alexis Tsipras: «Domani (oggi, ndr) è una data storica, segna uno spartiacque nella vita delle persone e nella vita politica europea: Syriza e il governo Tsipras hanno ridato senso alla democrazia». Sul palco sale il greco Panagopoulos che infiamma la platea. Fra poche ore il verdetto delle urne.

Sarà l’ora della verità per l’Europa. Ma anche per la sinistra italiana. Intanto Fassina propone un programma per un soggetto di sinistra che non nasce oggi, perché «prima va condiviso un programma». A sinistra le differenze sono cosa serissima e far finta di nulla porta dritto al fallimento: vedasi noti precedenti. Il programma è quello di un Pd immaginario, di sinistra e ancorato alla Costituzione, quello che non c’è mai stato se non forse «nella parentesi della segreteria di minoranza di Bersani»: «Spesa per investimenti, abolire il fiscal compact e il pareggio in bilancio in Costituzione», «bloccare i negoziati per il Ttip, il trattato di scambi commerciali tra Ue e Usa»; una chiara missione di politica industriale per la Cassa depositi e prestiti, diritti civili, reddito di dignità da sperimentare (ma l’obiettivo è il lavoro di cittadinanza).

Un’estate di comitati nei territori su scuola, lavoro e democrazia, poi in autunno l’appuntamento per un soggetto unitario, con Sel, Civati e tutti gli altri.

«Il Pd ha cambiato natura, c’è un grande spazio a sinistra che va riempito, con calma perché il percorso è lungo. Il contenitore è l’ultimo dei problemi» avverte un applauditissimo Sergio Cofferati, altro ex Pd di lusso che qui è il più autorevole ponte con la coalizione sociale di Landini. Ma anche il professore Prospero, autore di un formidabile saggio sul renzismo, «Il nuovismo realizzato», si prende un lungo applauso quando dice «il dopo Renzi è già cominciato, a me la parola partito piace». «Siamo qua per fare un partito», assicura nelle conclusioni Fassina. Ma i tempi sono lunghi e il percorso sarà serio. E magari passerà attraverso i referendum, ma «senza fughe in avanti solitarie e inutili, possiamo raccogliere le forze per una campagna referendaria da valutare insieme, anzitutto sulla legge per la scuola, e insieme a chi rappresenta insegnanti e studenti»».

Civati, che invece i referendum li vorrebbe lanciare subito, risponde che è bene guardarsi dalla sinistra «dei salotti» ma anche da quella «dei divani, quella che se gli dici referendum risponde “sì, ma il prossimo anno”».
Insomma, c’è da chiarirsi le idee su come andare avanti. Come non è per niente scontata l’unanimità su come affrontare le amministrative 2016: «Può essere l’occasione per guidare alla vittoria un centrosinistra oggi sempre più lontano dal suo popolo».

Ma la parola «centrosinistra» è ormai innominabile per un pezzo della sinistra in cammino, se non a prezzo di mille chiarimenti. Ci sarà da discutere anche su questo.
Intanto oggi parte il charter per Atene, fiato sospeso, dalle urne greche arriverà un verdetto per l’Europa ma anche, a modo suo, per la sinistra italiana.