Il risultato è «evidentemente insoddisfacente», ammette Stefano Fassina alla sala stampa di Montecitorio, dov’è tornato a fare le sue conferenze stampa dopo più un mese in cui ha fatto base a Torpignattara, dov’era il suo comitato elettorale da candidato sindaco. Parla del suo 4,47 per cento a Roma, tradotto in voti sono poco meno di 52mila. I numeri hanno la testa dura: nel 2013 Sel in coalizione con il Pd di Ignazio Marino aveva raccolto oltre 63mila voti e guadagnato quattro consiglieri comunali; la «Repubblica Romana» di Sandro Medici, altro pezzo forte della sua corsa di domenica scorsa (e Medici infatti fra i più votati della lista Sinistra per Roma, dopo di lui) ne aveva presi oltre 26mila. A questo giro invece la somma non fa il totale, per dirla con Totò. L’ovvia obiezione è che si trattava di un’altra stagione politica, un altro mondo. La città usciva dal quinquennio di Alemanno. Vero. Ma il calo di consensi c’è stato, e Fassina non lo nega.

Come si spiega questo risultato «insoddisfacente»?

C’è una domanda di radicale discontinuità, una volontà di girare pagina rispetto a una lunga stagione di governo che ha visto protagonista il centrosinistra. Noi l’avevamo capito per tempo, per fortuna. Oggi possiamo dire che a Roma la sinistra c’è e ha le basi per poter crescere. Di fronte all’ondata del voto grillino abbiamo messo al riparo un patrimonio importante di uomini e donne e di cultura politica. Però alla fine il grosso di questa domanda è stato largamente intercettato dal Movimento 5 Stelle. E questo è successo perché il nostro progetto autonomo non è stato abbastanza chiaro e riconoscibile.

Veramente lei nel corso di tutta la campagna elettorale ha attaccato il Pd e messo tutte le distanze dal partito di Renzi e Giachetti. Intende dire che se il progetto non era chiaro è colpa di chi, fra voi, la pensa diversamente e non ha chiuso il dialogo con il Pd?

Non accuso nessuno. Il nostro progetto è incompiuto per un fatto oggettivo: perché siamo all’inizio. Poi è vero che ci sono differenza fra noi ed è vero che in Sinistra italiana ora si deve porre la necessità di chiarire il suo profilo autonomo.

Non darete nessuna indicazione di voto per i ballottaggi?

La priorità che noi abbiamo assegnato alle questioni sociali, la disuguaglianza, la precarietà del lavoro, la povertà, non le ritroviamo in nessun altro candidato. Escludo ogni ipotesi di apparentamento, né con Giachetti né con Raggi che del resto non è mai stato nelle nostre prospettive. Ma certo noi per codice genetico siamo sempre convinti della necessità di votare. Di cosa fare adesso discuteremo mercoledì in un’assemblea aperta alla Città dell’Altra economia.

Deciderete cosa fare con i candidati? Oppure con le forze politiche che hanno sostenuto la sua corsa?

I candidati si sono impegnati con generosità quindi è giusto farli partecipare alla scelta. Ascolterò, e poi anche io vorrei dire la mia opinione. Detto questo io faccio parte di un partito che si riunirà (oggi, ndr) e prenderà una posizione anche su questo.

E se qualcuno dei vostri volesse invece appoggiare Giachetti al ballottaggio, e volesse dirlo pubblicamente?

Si assumerà le sue responsabilità. Se vogliamo affermare un progetto politico autonomo dobbiamo essere coerenti. Io credo, ma questa è una posizione personale, che se noi a Roma ci fossimo schierati con il Pd oggi non saremo sotto il 5 per cento, ma sotto il 2.

A proposito Sinistra per Roma, la sua lista: diventerà un’associazione?

Sì, l’avevo annunciato già in giorni difficili. Diventerà un punto di riferimento stabile nella città per i comitati, per le associazioni. E per le persone: fra noi ce ne sono molte che non hanno una casa politica. Troveremo le forme per raccordarla con la fase costituente di Sinistra italiana.

Lei è il primo eletto, forse sarà l’unico della sua lista. Si dimetterà?

No, resto in consiglio comunale, è un impegno che ho preso in campagna elettorale.

Allora si dimetterà da deputato?

No, farò l’una e l’altra cosa. Per legge non c’è alcuna incompatibilità. E in molti l’hanno fatto prima di me. Nell’ultima giunta c’era persino chi faceva il deputato, o il senatore, ma anche l’assessore.