«Non lo capisco quando parla, Fassina. È fumoso, è astratto. Mi ricorda troppo il comunismo polacco, rivoltato da  Solidarność 25 anni fa eppure ben presente nell’economia e nella politica e nella cultura nostra: è ancora vivo l’homo sovieticus». Chi mi dice queste parole è Sławomir M. Stasiak, un polacco di mezza età laureato in storia a Firenze e oggi, imprenditore e letterato, mio interprete al Gdańsk DocFilm Festival 2015. Mentre parla, i suoi occhi brillano di rabbia impotente.

Stefano Fassina, questo avversario sinistro di Renzi (il quale, lo dico a scanso di equivoci, a mio parere, non è un riformatore bensì un razionalizzatore dell’esistente), lo incrocio spesso di corsa nei dintorni del Parco del Colle Oppio di Roma (di corsa lui in tuta, io cammino a passi lenti, alla Grouco Marx). E sempre mi domando: non condivide la teoria e la prassi di governo di Renzi e dei suoi colonnelli, bene, ma perché non avanza altre proposte economiche e politiche e culturali chiare e concrete?

Sì, lo so, Fassina critica osteggia il segretario del PD ripetendo che «chi guida il partito non può pretendere soltanto conformismo», e Fassina è uomo d’onore, ma non basta. Non pretendo che costituisca un governo ombra, ma che manifesti l’ombra di un’idea.

Ora, Sławomir esagera quando, pensando a lui, evoca l‘homo sovieticus, il tipo sociologico coniato dallo scrittore e sociologo Aleksandr Aleksandrovič Zinov’ev. Fassina non è Gennadij Andreevič Zjuganov (esponente del Partito Comunista della Federazione Russa e avversario sinistro di Vladimir Putin). Fassina a me ricorda piuttosto l’homo ingraianus.

Qualche anno fa, alla vigilia della pubblicazione della propria autobiografia, Pietro Ingrao, intervistato da Simonetta Fiori per la Repubblica, ha confessato di aver «amato troppo l’applauso» e aver «assorbito un fondo chiesastico». Insomma, di essere stato un conformista.

Conformista, Fassina? Proprio lui che accusa di conformismo i dirigenti e i diretti del PD che s’inchinano alle decisioni del capo? E se non s’inchina al capo, a chi conformisticamente Fassina s’inchina?

«Fassina è un economista? Elabori soluzioni concrete ai problemi reali. Invece è un demagogo, un opportunista, uno che si conforma ai desideri dei nostalgici del Piccì, che compiace gli impiegati e i professori della CiGiElle». Chi mi parla così è Raffaele Abbattista, un italiano di mezza età, laureato in macelleria a Roma. Lo frequento spesso, il negozio suo e di suo padre Alessandro, in via Labicana, la carne è eccellente, il prezzo onesto, e acute  le loro notazioni popolane.

Quando dico ad Alessandro che Fassina ha lasciato il PD annunciando di voler fondare, con Civati e Pastorino e Cofferati, «un nuovo soggetto politico», e gli leggo le sue parole dalla Rete: «Con loro ci ritroveremo per avviare un percorso politico sui territori, plurale, che possa raccogliere le tante energie che sono andate nell’astensionismo. Vogliamo provare a ricoinvolgerle per una sinistra di governo ma con una agenda alternativa…» noto con la coda dell’occhio che i suoi occhi si velano di rabbia impotente.

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