Ha scelto il quartiere semi periferico più citato nei proclami xenofobi della Lega, quello del rapper Amir Issaa e della scuola Pisacane dove Mario Borghezio finì per essere cacciato dalle mamme. Il quartiere, ad un passo dalla movida del Pigneto, che ancora non riesce ad integrare le famiglie autoctone, gli studenti universitari in cerca di affitti accessibili e la gran moltitudine di immigrati giunti ormai alla seconda generazione.

E’ a Tor Pignattara che Stefano Fassina, che ha formalizzato la sua candidatura a sindaco di Roma il 27 novembre scorso, ha deciso di inaugurare ieri, in via AntonioTempesta 126, la sua sede elettorale, a due passi da dove tre anni fa una rapina finita in tragedia con l’uccisione di un commerciante cinese e della sua figlioletta portò alle cronache anche l’incredibile giro di affari dei Money transfer che puntellano ogni angolo. E dove nel settembre 2014 un ragazzo di 17 anni uccise a calci e pugni un altro di 28, pakistano, che aveva la sola colpa di recitare ad alta voce in strada le sure del Corano.

«Continuiamo un percorso d’ascolto dei cittadini avviato ad Ostia che mette al centro dell’attenzione le periferie – che non sono solo problemi ma straordinarie opportunità – per costruire insieme un Patto di cittadinanza, un programma con una dimensione sociale vera, con radici solide nelle esperienze del volontariato e dell’associazionismo, per una svolta morale e civile della città», esordisce l’ex vice ministro dell’economia rivolgendosi ad una sala gremita di militanti e cittadini, sia pur di un’età media superiore a quella della popolazione migrante che si incontra su queste strade.

Fassina però sa bene quali siano le principali linee programmatiche, perché da tempo «abbiamo iniziato a raccogliere le tante idee già maturare sul territorio romano» che verranno messe alla prova di un confronto pubblico il 17 gennaio, e perché «la ricerca continua con gruppi di lavoro di esperti e accademici» (il 24 gennaio, invece, al Brancaleone la prima festa di sottoscrizione per la campagna elettorale). Debito pubblico, politiche sociali, assetto amministrativo, mobilità, legalità, lotta alle «diseguaglianze diventate insostenibili», e la ricostruzione di «una soggettività politica che accompagni l’amministrazione».

Da costruire, però, c’è ancora il percorso delle alleanze: mentre con il Prc «la discussione è in corso», al suo fianco sono scesi ieri formalmente Sel (il coordinatore romano Cento avverte: «Non è una candidatura low cost», mentre l’ex capogruppo Peciola si augura una candidatura «larga» che «parli alla città e al mondo del centrosinistra») e la lista Tsipras («Raccogliamo due sfide gigantesche: quella di battere il M5S, e quella di ricostruire una soggettività di sinistra», dice Ferruccio Nobili). «Sono consapevole della difficoltà della sfida – continua Fassina – anche perché ci sono pezzi di città che hanno vissuto la fine della giunta Marino come un’opportunità di tornare al business as usual, e soprattutto perché c’è da riconquistare la fiducia dei cittadini e dei movimenti sociali ormai delusi, ma sono sicuro di avere una squadra di uomini e donne capaci».

Con il suo ex partito, invece, Fassina considera che «a Roma l’alleanza è impossibile: c’è troppa delusione per il vulnus di democrazia che si è evidenziato con la chiusura dal notaio della giunta di centrosinistra. Partecipare ad eventuali primarie di coalizione con il Pd del Nazareno, ormai inaffidabile, significherebbe far crescere l’astensionismo». In sala ci sono numerosi dem fuoriusciti dal partito renziano, soprattutto ex coordinatori di circoli. «Vengo da una storia di sinistra di governo, non scelgo il minoritarismo – conclude il candidato sindaco – Pur tuttavia, oltre che di governo, deve essere sinistra».