L’Istat certifica un paese in recessione, Renzi scrive ai parlamentari della sua maggioranza: «L’Italia tornerà ad essere la guida, e non il problema dell’eurozona», quasi l’incitamento a un esercito pieno di dubbi. Per Stefano Fassinadeputato, economista di punta dell’era bersaniana, poi viceministro del governo Letta, è appena uscito il suo Lavoro e libertà (Imprimatur) che sostiene tesi che eufemisticamente definiremo non renziane – è una giornata amara. Una giornata che ricorda un’agra battuta di Altan: «Interveniamo o ci riserviamo il piacere di dire che l’avevamo detto?». Fassina non vuole fare battute. «La lettera di Renzi mi preoccupa. Indica una grave sottovalutazione dei dati realtà. Non è l’Italia il problema dell’Europa. È la linea di politica economica seguita dall’eurozona il problema dell’Europa. E mi preoccupa anche la conferma degli obiettivi irraggiungibili della spending review. Tentare di raggiungerli mutilerebbe ulteriormente il welfare, aggraverebbe la recessione e aumenterebbe il debito».

Anche l’Istat finirà nella categoria dei ’gufi’ coniata dal presidente Renzi?

Il dato del Pil, al di là della seconda cifra decimale, era largamente previsto. Ad aprile, quando abbiamo discusso con il ministro Padoan alla commissione bilancio, avevamo detto che le previsioni del governo erano irrealistiche.

Chi lo aveva detto? Il governo non era di questa opinione.

Il governo no, ma alcuni di noi hanno detto e scritto ripetutamente che la rotta mercantilista alimentata dall’austerità e dalla svalutazione del lavoro porta a deflazione, disoccupazione e aumento del debito. Principi di realtà, non ’gufate’.

Il governo ora cosa dovrebbe fare?

Correggere l’errore di impostazione che ha fatto all’avvio della presidenza italiana del semestre europeo. Renzi ha sottoscritto documenti nei quali si dice che la ripresa è in corso e che la ricetta funziona. E sulla base di questo assunto ha chiesto flessibilità per l’Italia: come dire, il treno va e noi siamo un vagone un po’ più lento. E invece così è insostenibile l’euro e sono insostenibili i debiti di tanti paesi europei, fra i quali l’Italia. Questo è il nodo vero: Renzi deve urgentemente porlo a Berlino, Bruxelles e Francoforte. E deve attivarsi affinché ci sia un meccanismo di gestione cooperativa dei debiti. Sul versante interno, dobbiamo superare il tabù del 3 per cento del rapporto fra deficit e Pil: ci paralizza. Siamo in condizioni eccezionali, abbiamo perso 10 punti di Pil dal 2008, siamo in deflazione. Serve una manovra espansiva con la quale consolidare in bonus Irpef, introdurre misure di contrasto alla povertà, riqualificare e riallocare la spesa pubblica. Niente nuovi tagli: dobbiamo allentare il patto di stabilità interno e fare politiche antievasione per recuperare le risorse. E così torneremo sotto il 3 per cento più avanti.

Sembrano proposte irricevibili per un’Europa che non ci vuole concedere neanche una maggiore flessibilità.

Ma non c’è alternativa. Dire che la ripresa è in corso e la ricetta funziona non ha fondamento. L’eurozona ha generato sette milioni di disoccupati in più e ha aumentato il debito pubblico in media dal 65 al 95 per cento. È la rotta che non funziona. E se andiamo avanti con l’agenda Monti e Merkel, può solo andare peggio.

L’agenda Monti era anche l’agenda Letta, il governo di cui lei ha fatto parte.

In qualche misura sì. Ma la manovra di Letta è stata l’unica espansiva, se pur moderatamente. Ma non mi voglio sottrarre: anche Letta si è mosso in questo quadro. Poi abbiamo sperato in un cambiamento. Non è andata così. Renzi cerca deroghe alle linea. È la linea ad essere sbagliata.

Letta era meglio di Renzi?

È presto per dirlo, e lo dico da non renziano. Gli 80 euro sono una boccata di ossigeno per chi li riceve, ma sono stati finanziati i con i tagli di spesa e producono un effetto negativo. Lo stesso effetto del decreto Poletti, che aggrava la precarietà e quindi pesa negativamente sulle retribuzioni e sui consumi delle famiglie.

Il ministro Padoan dice: spendete questi 80 euro, li avrete per sempre.

L’effetto elettorale degli 80 euro è stato positivo, quello macroeconomico no, e il ministro lo sa. Mi preoccupano le parole di Padoan: sottovaluta la gravità dei problemi e continua ad affidarsi a una ricetta che ha dimostrato sul campo di aggravarli.

Padoan esclude una manovra aggiuntiva.

Sarebbe un errore, e voglio credere che non si faccia. Del resto ormai, ad agosto, sullo scorcio finale dell’anno, non avrebbe grande efficacia. È preoccupante invece l’impostazione della legge di stabilità del 2015. Può portare a un altro anno di recessione oppure dare ossigeno all’economia e avviare la ripresa. Non si può ragionare sui decimali dopo che abbiamo perso 10 punti di Pil. Non era mai accaduta una recessione così lunga. Cosa deve accadere ancora per rendere evidente che la rotta non va?

Intanto il governo è alle prese con la defezioni del commissario alla spending review e con gli insegnanti di ’quota 96’.

Due casi diversi. Ma il governo deve assumersi le sue responsabilità anziché scaricarle sulle tecnostrutture. Su ’quota 96’ c’è una chiara responsabilità politica: il governo ha scelto di non riconoscere le posizioni del parlamento.

Doveva farlo anche se non c’erano le coperture?

Se fosse stato solo questo, si sostituivano le coperture. Stiamo parlando di meno 100 milioni per 4 o 5 anni. No, è stata una scelta politica. Sbagliata.

Renzi intanto ha iniziato le sue riforme con quelle costituzionali, le meno urgenti e quelle bisognose di maggior approfondimento. Ha sbagliato priorità?

No, di queste riforme avevamo bisogno e comunque non sono alternative a cambiare la rotta economica. Ma non va bene il modo con cui sono state portate avanti: non si doveva procedere con le prove di forza e le forzature regolamentari. Ora però si pone un problema: il rapporto con Forza Italia, giustificato nelle riforme costituzionali, si vuole stringere di più di fronte ai dati economici negativi? Sarebbe un suicidio per il paese oltreché per il Pd.

Renzi tende a dare del ’gufo’ a chi la pensa diversamente da lui. Questi dati economici gli consiglieranno uno stile diverso?

Non si possono disconoscere i dati di realtà. Quando alcuni di noi sottolineano che le cose non vanno bene non è per boicottare o gufare, ma per trovare soluzioni.

Non sarà che Renzi è obbligato ad avere come principale alleato Berlusconi, per lui più affidabile di Sel, M5S e anche forse di alcuni della ex sinistra Pd?

Il rapporto con Forza Italia è necessario e giusto nelle riforme costituzionali che si fanno tutti insieme. Ma non può essere esclusivo. La domanda la faccio io: Renzi lavora per renderlo esclusivo?

Il rapporto con Forza Italia è esclusivo per forza. I ’piccoli’ di maggioranza e opposizione chiedono cose – sull’Italicum per esempio preferenze e soglie basse – alternative a quelle chieste dagli azzurri.

Partiamo da quello che serve all’Italia, non a Berlusconi. All’Italia serve escludere una forza con tre milioni di voti? Servono le liste bloccate? Capiamo gli obiettivi. Non possiamo solo accettare i veti di Verdini.

Renzi potrebbe avere la tentazione di portare il paese al voto?

Sarebbe il fallimento di tutti e soprattutto chi ha la massima responsabilità politica nel paese. Comunque se è una minaccia, è una minaccia ridicola da parte di chi la fa come soluzione per arrivare a gruppi parlamentari più omogenei. Andare al voto con il consultellum significherebbe eleggere un gruppo parlamentare plurale e più piccolo. Non piacerebbe a quelli che lo minacciano.

Il rapporto con Sel è in crisi. Il centrosinistra non c’è più, e l’Italicum al momento non costruisce alleanze. Correrete soli?

Sel è un nostro alleato naturale. Ha sbagliato a fare l’ostruzionismo, ma l’ha fatto dopo la delegittimazione morale delle sue posizioni. Ora nelle nuove letture sia della riforma del senato che della legge elettorale sarà responsabilità di tutti, ma in primo luogo della maggioranza e del governo, ricostruire un clima di cooperazione. Non c’è il diritto di veto di nessuno, certo. Ma neanche di Verdini. A livello territoriale Pd e Sel fanno insieme amministrazioni di qualità. E questo rapporto non è un valore solo in termini quantitativi ma segna il profilo culturale e politico del Pd.

Non è che lei ha in mente un Pd che ormai non c’è più?

Non siamo arrivati a un equilibrio di lungo periodo. Siamo in una fase difficile e piena di contraddizioni, in movimento. L’impegno di tanti di noi è contribuire a un profilo del Pd che vada su una linea alternativa a quella sulla quale siamo ora e che genera i risultati che vediamo. Se seguiamo la ricetta di Sacconi sull’art.18, se facciamo altri tagli al welfare forse non sarà un problema per il Pd, ma il paese andrà a fondo. Serve un’agenda alternativa, e un rapporto con le forze in sintonia con questo.

Il popolo che lei incontra in tutta Italia alle feste dell’Unità non chiede invece anche a voi, opposizione o ex opposizione interna, di lasciare lavorare Renzi?

Ci chiede tante cose, chi di farlo lavorare, chi di correggere la rotta. Noi non siamo opposizione, portiamo avanti un punto di vista che vuole contribuire al successo del governo a fare riforme: a farle bene, però.