Il selciato polveroso, le arcate imponenti, le crepe sui muri, il mattone rosso, le seggiole del teatro, un’aula magna impacchettata, i corridoi bui e la luce d’improvviso. Questa è la Cavallerizza Reale di Torino, un complesso architettonico unico per la storia, la cultura e l’arte: patrimonio Unesco insieme alle altre residenze sabaude. È parte integrante della «zona di comando» della ex capitale sabauda, collegata al Palazzo Reale. Le sue linee geometriche di un barocco austero si intersecano raccordando i diversi edifici – realizzati nell’arco di tre secoli e mezzo – originariamente destinati ad aule della Accademia Militare, a maneggi, a scuderie.
La Cavallerizza è diventata successivamente spazio culturale della città, set cinematografico, per esempio, del film Cuore di Luigi Comencini (1984), dal 2001 una delle sedi del Teatro Stabile e di altre associazioni. «Non solo un maneggio», appunto, come sottolinea l’Assemblea Cavallerizza 14:45, comitato di cittadini, studenti, lavoratori dello spettacolo e della cultura, che il 23 maggio scorso hanno occupato e aperto questo spazio alla cittadinanza (con un ciclo di spettacoli, dibattiti e laboratori), per sottrarlo alla vendita ai privati, decisa dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Piero Fassino.
Da anni, la Cavallerizza versa in uno stato di degrado in seguito al suo progressivo svuotamento. Tramite un processo di cartolarizzazione, l’intera area è stata messa all’asta dal Comune di Torino, che l’aveva acquistata dal Demanio per decine di milioni sul finire degli anni Novanta. Due aste, però, sono andate recentemente deserte, ma la giunta non ha cambiato idea: si deve vendere. Anche a un prezzo progressivamente più basso (prezzo di partenza circa 11,5 milioni di euro). «Una svalutazione che preannuncia una nuova speculazione urbana» sostiene l’Assemblea, che non si rassegna alla vendita sul mercato immobiliare di un bene comune inestimabile, allo scopo di risanare le malandate casse comunali. «Paradosso è che il sindaco Fassino candidi Torino per il primo incontro mondiale dei 1000 siti Unesco nel 2015 e adesso metta a rischio il sito torinese delle residenze sabaude» afferma Emanuele Negro dell’Assemblea.
La Cavallerizza è una vicenda paradigmatica dell’ultimo ventennio torinese. Parti di città svendute a investitori privati in grado di influenzare le politiche pubbliche. Si salvano i simboli (magari la vocazione culturale) e si capitalizzano i profitti. L’appello per salvare il complesso della Cavallerizza ha ottenuto oltre 5 mila adesioni. Lo scorso mercoledì, sotto le arcate dell’edificio principale, si sono ritrovate centinaia di persone per discutere del futuro della Cavallerizza, ma non gli assessori comunali che erano stati invitati.
Dopo il gelo, sembra però che i canali comunicativi con la giunta sembrano riaprirsi. Il sindaco e l’assessore al Bilancio Gianguido Passoni parrebbero disponibili a un incontro con il comitato. Segnale positivo è che l’Assemblea in sé venga riconosciuta come legittimo interlocutore. Così come è successo con la Soprintendenza: la «determinata opposizione» del movimento ha fatto sì che si aprisse un tavolo di discussione, in programma quest’oggi, sulla questione Giardini Reali (nel retro della Cavallerizza) con l’ente competente dell’area specifica, nonostante le pressioni della Prefettura che era di tutt’altro indirizzo.
L’obiettivo dell’Assemblea resta un percorso di progettazione e di gestione partecipata della Cavallerizza, chiedendo non si svenda e venga rimossa dal programma di cartolarizzazione del Comune e rimanga aperta e accessibile a tutti cittadini come casa delle culture.