Continuano gli scontri a Ferguson, da dieci notti, tra la popolazione che chiede giustizia per l’omicidio di Michael Brown e la polizia che reprime le manifestazioni di dissenso. Di queste dieci notti, solo una è stata tranquilla, quella successiva all’arrivo del capitano Ron Johnson. Per il resto, lo scenario ha sempre rappresentato una zona militarizzata. Si avverte – però – un cambio di rotta da parte della polizia.

Dopo la notte del 18, quando la risposta della polizia al lancio di una bottiglietta di plastica è stato incredibilmente violento e lungo, di sapore vendicativo oltre che repressivo, quella tra il 19 ed il 20 ha mostrato un nuovo atteggiamento: non più lacrimogeni, cannoni assordanti e pallottole di gomma sparate nel mucchio, ma pepper spray e arresti mirati.

L’elemento scatenante è stato ancora una volta il lancio di una bottiglietta d’acqua verso i cordoni della polizia, intenta a invitare i manifestanti ad andarsene ed i giornalisti a tornare nella zona riservata alla stampa; questo nonostante il coprifuoco non fosse in vigore. I ripetuti richiami della polizia sono stati ignorati sia dai manifestanti, sia dai giornalisti e quando la famigerata bottiglietta è stata lanciata è cominciato il caos. Un caos diverso e difficile da decodificare, inizialmente, dove la polizia correva verso determinati soggetti, usava lo spray urticante e li ammanettava e che ha portato a 47 arresti ed al ritrovamento di 3 pistole nascoste in due macchine.

Tra gli arrestati anche uno degli osservatori della National Lawyer’s Guild, ammanettato anche se assolutamente riconoscibile come osservatore legale grazie al vistoso cappellino verde che i membri dell’associazione portano proprio per essere evidenti in mezzo alla folla. «Siamo a un punto di svolta – ha detto il capitano Johnson – molti attivisti e manifestanti hanno collaborato a calmare le acque». Questo però non ha impedito di far precipitare gli eventi.

L’ordine ai cittadini di disperdersi e alla stampa di autoconfinarsi in una zona lontana dalla manifestazione, ha fatto salire la tensione rapidamente e più la polizia chiedeva ai giornalisti di andarsene più i manifestanti chiedevano loro di restare.

Alcuni manifestanti hanno cominciato ad entrare nelle zone stampa e a farsi scudo con i numerosi giornalisti presenti. La presenza dei media a Ferguson è ormai imponente, ci sono più giornalisti che manifestanti e questo crea non pochi problemi alla polizia, gli scontri violenti della notte precedente avevano di fatto visto colpire esclusivamente giornalisti impreparati ad uno scenario tanto violento; gli arresti dei corrispondenti di The Intercept – la creatura mediatica di Glenn Greenwald, il giornalista che ha rivelato al mondo lo scandalo della Nsa – e del fotografo di Getty erano stati riportati dai media internazionali.

La maggior parte dei residenti, però, percepisce la presenza dei giornalisti come una sicurezza e una protezione e non vuole che vengano allontanati.

Oltre ai numerosi reporters, anche molti attivisti provenienti da altre città si stanno riversando a Ferguson. «Vedo molte facce note – ha detto Tim Pool, giornalista di Vice News e prima livestreamer ad Occupy Wall Street – gente di New York ma anche di altre città, che ho incontrato in molte manifestazioni in giro per l’America». Diventa difficile distinguere gli attivisti provenienti da altre zone dagli inviati mandati a Ferguson; questo è un ulteriore problema per un corpo di polizia che continua ad affrontare la folla, palesandosi con i fucili spianati ad altezza uomo.

Dopo gli arresti e la conferenza stampa del mattino, una volta che le strade sono tornate vuote, c’è stato un altro raid, anche questo mirato. La St. Mark Missionary Church,piccolo angolo di pace, dove viene dato soccorso a chi si ferisce o viene intossicato durante gli scontri, è stata requisita dalla polizia e l’improvvisato punto di soccorso smantellato. Almeno fino alla sua ricostruzione, già in corso.