La stupida, ottusa sottocultura del razzismo ha generato un’ennesima vittima. Questa volta è capitato a Fermo, una quieta e prospera cittadina delle Marche impreziosita da uno splendido centro storico. Un teppista da stadio, ebbro di retorica nazifascista, cultore della supremazia dei bianchi ha spento la vita di Emmanuel Chidi Nnamdi, immigrato africano, con cieca brutalità. L’ultrà assassino, prima dell’episodio di violenza fisica, si era divertito ad insultare la futura moglie di Emmanuel, Chinyery, con l’epiteto di scimmia nera.

Ogni uomo, chiunque egli sia, dovrebbe essere giudicato per ciò che fa, volta per volta, non per i suoi precedenti, non in base a pregiudizi o ad azioni e comportamenti messi in atto in altri contesti. Questo è un principio che istituisce una civiltà giuridica.

È tuttavia lecito cercare di capire il perché di un comportamento criminoso tenendo conto delle pratiche di vita, delle scelte e delle ideologie a cui chi lo ha commesso si ispira. Amedeo Mancini è un teppista da stadio a cui è stato interdetto l’accesso nelle arene sportive perché colpito da daspo. È un seguace dell’estrema destra intriso, pur se rozzamente, della visione del mondo e dei rapporti fra uomini e genti che caratterizza quell’ambiente. Crede nel razzismo, disprezza i valori dell’accoglienza e della solidarietà, adora i pestaggi, è convinto che ogni guaio derivi dall’invasione degli straneri e via sproloquiando.

Che un simile individuo nella sua fanatica imbecillità possa provocare l’orrore della morte di un’innocente già colpito dalla violenza nella sua terra e l’infinito dolore della donna che doveva sposare è drammaticamente nell’ordine delle cose. Ma ciò che non dovrebbe appartenere all’ordine delle cose è invece il ritorno sempre più sconcio della vasta «zona grigia» in una società disertata dai valori dell’umanesimo.

Questa area grigia si sta espandendo a macchia d’olio in tutto il centro-est Europa ma non solo. Il suo carattere saliente è quello di sentirsi permanentemente minacciata nei propri piccoli o grandi privilegi ad opera di qualsivoglia alterità, ma in particolare da migranti e stranieri e da chi chiede di accoglierli, verso i quali prova un malcelato e sordo odio che pro tempore si esercita in epiteti insultanti come il nostro «buonista».

Gli abitanti della zona grigia si pretendono anche incolpevoli per definizione, essi non partecipano direttamente alle ingiustizie, ai soprusi o alle violenze, si limitano a permetterle e a contemplarle più o meno compiaciuti.

Davvero l’Europa e il suo sogno fallito sono ingrigiti precocemente e tendono a stingersi definitivamente nell’ignavia a furia di sottostare ai sacerdoti dei mercati dei banchieri e della finanza.

Di fronte agli episodi come quello di Fermo i «grigi» chiedono understatement, invitano a non esagerare, si indignano a sentire parlare di razzismo. «Ma quale razzismo? Chi ha ucciso è solo un balordo, sicuramente non voleva. E poi – pensano – quell’africano non doveva reagire in quel modo per un piccolo insulto innocente fatto alla fidanzata». Loro non hanno mai saputo e non possono sapere cosa significano quegli insulti, non hanno memoria, non sanno di quale messe di lutti è gravato ognuno di quegli sfregi.

Noi italiani siamo campioni nella mistica dell’auto assoluzione a priori. Già all’indomani della Liberazione i «grigi» varavano il fortunato slogan «italiani brava gente» ( bravi in quanto tali si intende). Infatti furono così bravi da lasciare espellere dalle scuole del regno senza alzare un dito bambini di sei sette anni solo perché erano ebrei. Gli italiani fascisti poi furono così bravi da essere complici della Shoà, da perpetrare, in proprio, un genocidio in Cirenaica, uno sterminio di massa con i gas in Etiopia, per finire con le pulizie etniche in Jugoslavia.

E così coraggiosamente bravi tanto da lasciare prosperare nel dopoguerra ben quattro terrificanti malavite organizzate.

Andiamo avanti così, e se sapremo scegliere la vigliaccheria come terreno di gioco, saremo per sempre i campioni del mondo.