Il governo applaude Silvio Berlusconi, che con il suo netto pronunciamento a favore delle riforme istituzionali si avvia a salvare Renzi da una figuraccia molto più temuta di quanto non sia apparso. Non è solo la decisione di rispettare il patto del Nazareno che galvanizza palazzo Chigi. È anche la linea dura assunta dall’ex cavaliere nei confronti dei dissidenti interni: un pressing massiccio, che crescerà nelle prossime due settimane (tante ce ne vorranno per arrivare al voto definitivo) e quanti più senatori ribelli riuscirà a mettere in riga, tanto più agevolerà il compito di Renzi nel domare i suoi ribelli.

Quella di Berlusconi è stata «una prova di serietà e concretezza che non possiamo non riconoscere». Parola della ministra Maria Elena Boschi: un complimento non proprio disinteressato. «Molto fiduciosa», la ministra aggiunge di «non temere imboscate in aula». È vero solo in parte. Una paura che ancora agita lei e il premier c’è, legata alla sentenza di Milano sul processo Ruby. Potesse arrivare un attimo dopo il semaforo verde per la riforma sarebbe certamente meglio. Anche per questo in realtà l’ex sindaco ci teneva tanto a fare presto: chiudere il 16 luglio, missione ormai impossibile, avrebbe voluto dire mettere la riforma al riparo dagli eventuali contraccolpi della sentenza.

I timori sono del tutto comprensibili. Tra i molti argomenti che in questi mesi Denis Verdini ha speso a man bassa per portare Silvio l’Indeciso dalla sua parte, il processo è stato uno dei principali. Messaggio semplice, anche se non necessariamente fondato: «Non si condanna un padre della Patria». Più precisamente, non lo si condanna per il reato più grave e infamante: quello sulla prostituzione minorile. Su quella almeno parziale assoluzione il condannatissimo conta. Ove non dovesse arrivare, nessuno se la sentirebbe di scommettere sulle sue reazioni.
Si tratta però di un timore limitato. Berlusconi si è spinto troppo avanti, negli ultimi giorni, per cambiare casacca di colpo, rendendo così evidente la relazione tra la riforma dello Stato e i privatissimi suoi guai. Anche in caso di condanna, è opinione comune che farà buon viso a cattivo gioco, tanto più che i suoi “renziani”, col solito Verdini in testa, non mancheranno di ripetergli che c’è ancora la Cassazione e che, comunque, per evitare l’incubo principale, il carcere o la detenzione domiciliare, conviene disporre di un governo amico e in debito. Senza contare l’eterno miraggio della grazia rievocato ieri dal capo dei senatori Paolo Romani, anche se certo alla fine del processo delle riforme.
La nota dolente è che gli eventuali mutamenti di umore del pregiudicato padre della Patria potrebbero incrociarsi, subito dopo l’estate, con la vera partita che ci si appresta a giocare all’ombra della riforma del Senato: quella dell’Italicum. Il governo sa perfettamente che su quel fronte avrà la vita ben più difficile che su quello della riforma. La fronda del Pd è infatti più numerosa, dal momento che comprende anche i ’riformisti’ ex bersaniani, e anche più determinata. Il fedele Ncd diventerà molto meno obbediente quando sarà in gioco la sua sopravvivenza. Infine la Lega (il cui improvviso sostegno, in cambio del mantenimento sostanziale del Titolo V, è il vero puntello della riforma del Senato) si schiererà contro una legge elettorale che penalizza più di ogni altro proprio i partiti minori del centrodestra.

Gli attacchi sulla riforma, come quello che giovedì ha messo a rischio fino all’ultimo secondo la tenuta della maggioranza, sono prima di tutto un minaccioso monito in vista di settembre. Anche il sostegno di tutta Fi a Renzi non basterebbe. Ma tra le richieste degli alleati di Renzi (e dei bersaniani) ce ne sono due per Berlusconi inaccettabili: le preferenze e l’abbassamento al 5% della soglia per i partiti al di fuori delle coalizioni. Renzi si troverà dunque tra due fuochi. Se sceglierà di ricompattare la sua maggioranza rischierà di trovarsi, nella seconda lettura della riforma, alle prese con vertici di Fi molto meno addomesticati di oggi. Tanto più se, nel frattempo, una condanna piena avrà disamorato del tutto il socio del Nazareno.