Hanno bloccato per due ore ieri i varchi del Fiat di Pomigliano, i cassaintegrati del Wcl di Nola, il reparto logistico del Lingotto mai entrato in funzione dove nel 2008 vennero dislocati 316 lavoratori. Protestavano per i 5 colleghi a cui martedì è arrivata la lettera di licenziamento: 4 del Wcl e 1 del Vico, Domenico Mignano, già licenziato due volte e in causa con l’azienda. Avevano portato le immagini di Maria Baratto, operaia del reparto di Nola morta suicida lo scorso maggio, di Giuseppe De Crescenzo, altro operaio di Nola suicidatosi a febbraio, e di Vincenzo Esposito Mocerino, operaio della Devizia, ditta di pulizie al Giambattista Vico, morto in fabbrica cadendo in una vasca in disuso.

Al Lingotto non sono andate giù le proteste dopo il suicidio di Maria Baratto, contesta ai lavoratori «atti macabri, gravissimi e inauditi»: il 5 giugno hanno messo in scena, davanti ai cancelli di Nola e della sede Rai di Napoli, l’impiccagione di un manichino con la foto di Marchionne sul viso, al collo il testamento con le scuse per le morti provocate. Il 10, all’ingresso 2 del Vico, il manichino è in un baule con lumini. La lettera di licenziamento recita: «Considerata la gravità degli addebiti che le sono stati mossi, le evidenziamo che gli stessi, oltre a integrare un’intollerabile incitamento alla violenza, costituiscono una palese violazione dei più elementari doveri discendenti dal rapporto di lavoro e hanno provocato gravissimo nocumento morale all’azienda e al suo vertice societario».

«Siamo colpevoli di aver denunciato i suicidi in Fiat e i 6 anni di cassa integrazione con soldi pubblici – ribattono gli operai – Siamo colpevoli di aver smascherato il reparto fantasma di Nola, 4 mila metri quadrati dove non si produce nulla. Chiederemo il reintegro per comportamento antisindacale». Percepiscono 7-800 euro al mese, età media 50 anni, con ridotte capacità lavorative o aderenti a sindacati di base: «Con la disoccupazione nei prossimi 2 anni prenderemmo di più, tanto il Wcl non andrà avanti a lungo. Noi siamo la prova generale di quello che potrebbe capitare al Vico, dove l’azienda ha messo tutti in ferie per quattro settimane dal 28 luglio. Evidentemente non ci sono molte richieste per la Panda. Depositeremo una denuncia: tra il 2003 e il 2007 sono spariti 2 milioni di euro pubblici, finiti nelle tasche di qualcuno anziché in investimenti. È ora di smetterla di giocare sulla pelle dei lavoratori».

La Fiom ha definito i licenziamenti un provvedimento eccessivo: «La Fiat avrebbe dovuto tener conto dello stato d’animo dei lavoratori del polo logistico di Nola per i tre suicidi di colleghi e per il continuo ricorso agli ammortizzatori sociali senza una vera prospettiva di rientro». La situazione non è rosea neppure dove si produce: nei segmenti B e C del Vico si applicano i contratti di solidarietà, nel segmento A gli operai sfornano Panda a ritmi forsennati, 69 a dipendente, la media più alta del gruppo (a Tychy in Polonia è di 63). Se ne spremono 2 mila e si lasciano gli altri fuori.

Con i licenziamenti del Wcl, spiega Roberto Pessi (docente di Diritto del lavoro della Luiss), «si apre un contenzioso destinato a fare storia, a chiarire qual è il limite dei comportamenti che, nel rispetto della libertà d’espressione, si possono assumere nelle manifestazioni sindacali». Pessi sottolinea che, se la bara e l’impiccagione non sembrano coerenti coi valori costituzionali, «siamo difronte a un’azienda, la Fiat, che già negli anni ‘50 licenziò un lavoratore perché iscritto al sindacato, teorizzando che i diritti sindacali valevano fuori e non dentro la fabbrica. Ne licenziò 52 negli anni ‘70 perché sospettati di essere brigatisti e poi gli episodi di Melfi e Pomigliano. In Fiat c’è anche un ‘singolare’ sindacato autonomo, accusato da più parti di essere aziendalista. Insomma – conclude – c’è tutta una linea di comportamento che si muove sull’idea dell’inutilità dei corpi intermedi e dunque dei sindacati».