Le elezioni presidenziali in Gabon dello scorso 27 agosto sono finite con la vittoria del presidente uscente, Omar Bongo, secondo i risultati annunciati dal ministero degli interni. Secondo gli osservatori e l’opposizione, invece, ad aver vinto è lo sfidante Jean Ping. Per questo, dal giorno successivo al voto, il paese è in preda a disordini e scontri.

Il Gabon è un paese dell’Africa equatoriale. Ha una superficie di poco inferiore a quella dell’Italia, ma la sua popolazione non supera i due milioni di abitanti. Ma soprattutto è un paese immensamente ricco di materie prime. Petrolio innanzitutto. Omar Bongo, padre di Ali sale al potere nel 1967 imposto dalla Francia. Il petrolio del Gabon è una delle principali fonti di ricchezza della potenza coloniale francese. E il Gabon era ed è tutt’ora il cuore di un sistema politico e economico chiamato Françafrique. Un sistema che ancora oggi assicura alla Francia delle rendite enormi che le permettono di reggere la crisi meglio di altri.

Ma oltre a servire la potenza coloniale Omar Bongo ne approfitta per arricchirsi a livelli altissimi, lui e vari membri della sua famiglia. Diventa multi miliardario e con il tempo, da uomo di paglia dei servizi francesi, diventa un uomo molto influente anche a Parigi. Le sue valigie piene di soldi fanno e disfano le carriere politiche, i governi… condizionano persino il nome degli inquilini del palazzo dell’Elysée. Alla sua morte nel 2009, il presidente lascia il potere al figlio Ali Bongo. Questo anche se “eletto” con modalità del tutto anomale gioca la carta dell’innovazione e del cambiamento. Ma nonostante il suo slogan sia “Pour un Gabon émergent”, il paese tarda a emergere. I risultati non si vedono e la nazione più ricca dell’Africa sub-sahariana continua a vivere con una popolazione a maggioranza povera e in assenza quasi totale di infrastrutture e di servizi. L’unico business che va avanti forte è la corruzione.

Il 27 agosto scorso si sono svolte le elezioni presidenziali, ma l’opposizione denuncia il risultato annunciato ufficialmente dal ministero degli Interni. Per strada, folle di cittadini escono a manifestare. Ma la repressione è fin da subito molto violenta. Il Re Bongo si aggrappa al suo trono.

 

Jean-Ping
Jean Ping

 

 

 

 

 

Da parte sua, il candidato dell’opposizione gabonese, Jean Ping, è lontano dall’essere un rivoluzionario. Viene dall’alta borghesia che si è arricchita all’ombra della dittatura dei Bongo e alle spese del popolo. In realtà, fa parte del clan del presidente. È anche sposato con sua sorella. Nasce politicamente in seno al Partito democratico gabonese (Pdg), il partito a lungo unico dei Bongo, ed è stato ministro e rappresentante diplomatico ad alto livello del regime dei Bongo. Ma la quasi unanimità delle opposizioni intorno a lui è dovuta alla necessità di rompere un tabù: distinguere la Repubblica del Gabon dal cognome Bongo. Imporre almeno il concetto di repubblica e di alternanza politica.

Da parte sua, la Francia sembra divisa. Il sostegno in blocco della classe politica francese alla famiglia Bongo sembra sgretolarsi. Se i Bongo rimangono ancora potentissimi sulle rive della Senna, buona parte del Partito socialista al potere (e quindi della stampa francese) sembra sostenere l’outsider Ping.

Dopo i ricorsi presentati sia dall’opposizione, che contesta il risultato ufficiale, che da parte del presidente uscente che contesta “irregolarità”. Il paese sembra spaccato in due e i giochi girano principalmente intorno alla provincia del Haut-Ogooué, tradizionale feudo del clan Bongo. Nel frattempo le manifestazioni dell’opposizione sono duramente represse e si parla anche di molti scomparsi.

Venerdì  23 la Corte Costituzionale darà il suo verdetto e proclamerà i risultati finali. Da questi risultati dipende il destino del paese. Potrebbero aprire la porta a un cambiamento positivo, o tutto potrebbe essere rimandato per altri lunghi anni. Ma potrebbero anche portare a scontri violenti, seminando così in un paese che era il più stabile in Africa da più di 40 anni, l’incubo della violenza politica ed etnica.

Per parlare di tutto questo ho intervistato Whylton Ngouedi Marocko, uno studente gabonese in Italia e membro del comitato elettorale dello sfidante Jean Ping.

 

Omar Bongo
Omar Bongo

 

Il Gabon è uno dei paesi africani che sembrava più stabile ed é anche il paese dove regna uno dei più longevi regimi, la famiglia Bongo. Come inizia la storia dei Bongo al potere e come mai ci sono rimasti così a lungo?

Diciamo che Omar Bongo era un ex agente dei servizi segreti francesi in Africa Equatoriale. È stato l’uomo di fiducia di Jacques Focart, il “signor Africa” di Parigi, architetto della cosìddetta Françafrique. In realtà la sua longevità è dovuta a vari motivi, innanzitutto perché con lui il Gabon era totalmente sotto il controllo francese, le imprese francesi avevano la priorità su tutte le risorse. Poi il fatto di aver un paese con una demografia piccola, meno di un milione di abitanti prima degli anni ’90 e introiti enormi grazie allo sfruttamento del petrolio del manganese e del legname, Omar Bongo era riuscito a distribuire i soldi a funzionari e anche a corrompere gli intellettuali in modo tale da evitare ogni forma di contestazione. Usando la politica della carota e non del bastone, si è assicurato una longevità storica.

Chi è il suo sfidante? Da quale percorso politico proviene Jean Ping?

Jean Ping è figlio di Charles Ping, un ricco imprenditore cinese venuto in Gabon per lavorare nel settore del legname e di madre gabonese dell’etnia Nkomi del gruppo Myene, è nato nel 1942 in una famiglia dell’alta borghesia gabonese. Ha un dottorato in Economia ottenuto alla Sorbona. Ha fatto carriera come funzionario internazionale. Dal 1978 al 1984 è il delegato permanente del Gabon presso l’Unesco. Nel 1993 diventa presidente dell’Opep, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio. Nel 2004 presiede la 59ma sessione delle nazioni unite e nel 2008 diventa Presidente della commissione dell’Unione africana. Dal 1999 al 2008 è Ministro degli Affari Esteri della Cooperazione e della Francofonia del governo del Gabon. Era membro del partito di Omar Bongo, il Pdg.

Come si è preparata l’opposizione a queste elezioni?

All’nizio c’erano 14 candidati tra cui l’ex presidente dell’Assemblea Nazionale, Guy Nzouba Ndama, e l’ex primo ministro Casimir Oye Mba. A pochi giorni da voto  questi ultimi due si sono ritirati per appoggiare Jean Ping. Inoltre bisogna dire che le condizioni richieste, tra cui la carta biometrica, per garantire uno scrutinio trasparente non sono state assicurate. Poi l’opposizione ha avuto tante difficoltà nell’accesso ai media pubblicii, però è riuscita ad organizzare dei meeting e a trasmettere il suo messaggio al popolo. Bisogna sottolineare il fatto che in Gabon, l’opposizione non è mai stata compatta e strutturata, il caso di fare di Jean Ping il candidato della coalizione dell’opposizione è stata una sorta di eccezione nella nostra storia politica.

Cosa contesta la popolazione alla dinastia dei Bongo? Perché vogliono la loro partenza?

La popolazione non ce la fa più perché nel 2009, una volta salito al potere in modo a dir poco controverso, Ali Bongo aveva promesso la costruzione di case popolari, 5000 l’anno, aveva promesso una università in ogni provincia del paese (ne abbiamo 9 in Gabon), aveva promesso l’aumento dello stipendio minimo a 220 euro e una giustizia indipendente. Ma durante i suoi sette anni di mandato il debito pubblico è aumentato di oltre il 150%, il budget della presidenza della Repubblica è aumentato più del 1000%, le case popolari che dovevano essere in tutto 35 mila sono solo 800 costruite e regalate ad amici dei Bongo, mentre il tasso di disoccupazione supera il 35%, nessuna scuola o università costruita. Per quanto riguarda la sicurezza dei gabonesi, il fenomeno dei crimini rituali (uccisione e mutilazione per scopi di magia nera) si è diffuso e i responsabili non sono mai stati arrestati, di conseguenza i gabonesi hanno vissuto nel terrore e alcune famiglie cercano ancora dei membri scomparsi. Ali Bongo gestisce il paese come una sua proprietà privata. E per quanto riguarda la libertà di opinione, tanti giornalisti sono stati arrestati, dei giornali chiusi, dei sindacalisti (Jean Remi Yama), uomini politici (Bertand Zibi Abeghe) e attivisti di movimenti sociali ( Landry Amiang, Christian Danger) arrestati, studenti torturati (Firmin Ollo, Minto’o Obiang), eccetera.

Alcuni osservatori europei e africani hanno rilevato “alcune irregolarità” nel voto, ma ovviamente pochi osservatori non bastano per monitorare tutto il territorio. Come si sono svolte le elezioni?

I risultati del ministero dell’Interno e dalla commissione elettorale, istituzioni composte da membri del partito del presidente uscente, non coincidono con i verbali in possesso degli osservatori dell’Unione europea e dei rappresentanti dell’opposizione.

E ora? Ci sarà una soluzione dignitosa per entrambe le parti e soprattutto per il paese?

La crisi è grave perché alle proteste pacifiche delle popolazioni, il governo ha risposto con una repressione violenta, con l’esercito e i mercenari. Oggi si contano più di 100 morti, 1200 arresti e 50 scomparsi. L’unica soluzione dignitosa è il rispetto della volontà del popolo, cioè, l’alternanza. La fine di più di 50 anni di regno di una dinastia. Quella dei Bongo. Perché Ali Bongo non ha vinto le elezioni. Gli osservatori erano dell’Unione africana e anche del’Unione europea. Questi ultimi sono stati i primi ad aver notato delle gravi irregolarità, che rendono falso il verdetto finale. Per questo chiediamo alle Nazioni Unite, l’Unione Europea e i partner del Gabon di cui fa parte anche l’Italia, di aiutare il popolo gabonese, accompagnarlo nella sua ricerca di libertà. Il 23 settembre la Corte Costituzionale deve pronunciarsi sull’esito elettorale e nel caso in cui questa istituzione non dovesse confermare la verità delle urne, il Gabon rischia una grave e profonda crisi. Ora c’è una urgenza, quella di prevenire una tragedia. La comunità internazionale non può guardare la libertà morire e dovrebbe fare di tutto per garantire subito l’alternanza in Gabon, senza aspettare che ci siano ancora morti.