La triangolazione Corea del nord, Usa e Sony Pictures di questi ultimi giorni, costituisce di per sé la perfetta sceneggiatura per un sequel thriller- grottesco a The interview, il film che la Sony – un paio di giorni fa – ha cancellato dalle sale cinematografiche americane.

Riassumendo: hacker nord coreani (secondo l’opinione di Sony, governo Usa e Fbi), dopo aver bucato i server dell’azienda, hanno minacciato di attacchi («come l’11 settembre», è stato specificato) i cinema responsabili dell’eventuale proiezione del film satirico sul leader di Pyongyang, The Interview. La Sony ha quindi cancellato premiere e tutta la programmazione americana. Obama ha specificato di non essere d’accordo con questa scelta e nella conferenza stampa di fine anno, ha sottolineato che «non è corretto darla vinta ai dittatori». La Sony ha risposto che in realtà, sarebbero stati i cinema a chiedere di non proiettare il film («Obama non ha capito», hanno detto i dirigenti Sony). L’azienda nel frattempo ha fatto un tonfo alla borsa di Tokyo e ha perso molti soldi a seguito di questa vicenda.

E ieri il colpo di scena: da Pyongyang hanno fatto sapere di non essere assolutamente coinvolti negli attacchi (considerati in ogni caso, «un’azione giusta») e anzi: Kim jong-un ha tirato fuori dal cilindro un numero magico, spiazzando tutti e proponendo agli Stati uniti una sorta di commissione di inchiesta comune su quanto avvenuto.

Proposta choc e consueti metodi permaloso-autoritari: se gli Usa non accetteranno l’indagine comune, Pyongyang lo considererà un affronto di Stato. Secondo la leadership nordcoreana, le accuse degli Usa contro la Corea costituirebbero una «diffamazione senza fondamento». Per questo, ha detto un portavoce del ministero degli Esteri nordcoreano, secondo quanto ha riportato ieri l’agenzia ufficiale Kcna, «chiediamo che si conduca una indagine congiunta con gli Stati uniti. Se gli Usa si rifiutano di accettare la nostra proposta – ha concluso il portavoce – bisogna che si ricordino che vi saranno gravi conseguenze».

Che diranno ora gli americani? E soprattutto: a chi credere in tutta questa storia? Secondo i coreani gli Usa non avrebbero le prove del loro coinvolgimento; e in effetti nonostante le accuse, nessuno ad oggi ha mostrato documenti in grado di esplicitare la provenienza dell’attacco ai server Sony, prima ancora delle minacce per la programmazione del film. Del resto però, come sottolineano molti esperti di sicurezza informatica, si sa che la Corea del nord, nonostante il suo isolamento e presumibilmente grazie a Pechino, avrebbe sviluppato squadre di militari informatici in grado di «bucare» siti e server di obiettivi stranieri. Un gruppo di militari chiamato «Ufficio 121» sarebbe già stato protagonista di attacchi provati ad organizzazioni straniere, così come i «Dark Seoul Gang» che avrebbero già causato deface dei server di banche e media sudcoreani.

Secondo alcuni esperti, i metodi di questi precedenti assalti sarebbero simili a quelli utilizzati contro la Sony Pictures. Al di là delle minacce a The Interview, infatti, alla Sony sono stati rubati molti dati personali dei dipendenti, insieme a mail e sceneggiature per future produzioni. E proprio ieri il South China Morning Post – quotidiano di Hong Kong – avrebbe rivelato che tra le mail trafugate, si troverebbero quelle del miliardario cinese, nonché boss di Alibaba Jack Ma, nelle quali si organizzavano future collaborazioni tra la Sony e Alibaba. Rivelazioni in grado di scuotere – e non poco – il mercato cinematografico cinese.