Anche chi non li ha vissuti in prima persona, i bombardamenti su Milano potrebbe riconoscerli quasi sentendo il rombo degli aerei: sicuramente qualcuno, che nel 1943 era solo un adolescente, glieli ha raccontati tante volte, mimando magari con la voce il suono continuo e tetro degli aerei della Raf che si avvicinavano. Per chi è nato molto tempo dopo la sua conclusione, la Seconda Guerra Mondiale ha continuato ad essere presente e ricordata attraverso i libri e i documentari, ma soprattutto con i racconti e i ricordi di nonne e nonni, e di giovanissimi futuri genitori, che in quegli anni vivevano la loro infanzia. Da tutti coloro che, nei rifugi antiaerei ci andavano correndo, proprio nelle funeste mezzanotti di quell’agosto 1943.

L’ultimo rombo
A più di settant’anni dalla fine della guerra, la città meneghina ha aperto le porte a Milano, Storia di una Rinascita. 1943-1953 Dai bombardamenti alla ricostruzione (a Palazzo Morando – Costume Moda Immagine, in via Sant’Andrea, fino al 12 febbraio 2017). Una mostra curata da Stefano Galli, vivamente consigliata a tutti: milanesi, turisti, imprenditori internazionali, chiunque arrivi nella metropoli della moda, del design, nella città da bere, del Martini, dry o con ghiaccio.
Amici di oggi e nemici di ieri, quelli che ora arrivano ogni 7 dicembre per la prima della Scala, quelli che leggono o scrivono libri sui misteri dell’Ultima Cena, anche se sarebbe assai più suggestivo ricordarsi che il vero mistero (grande e miracoloso) resta come – nella notte tra il 12 e il 13 agosto – l’opera di Leonardo, ingessata nei sacchi di sabbia, si sia salvata dai bombardamenti aerei della Royal Air Force.

14pg04af01
La rassegna si apre con le tante – sfortunatamente troppe – immagini di una Milano piegata su se stessa e impotente, raccontata da Salvatore Quasimodo nelle poche e silenziose righe di Milano, agosto 1943: «Invano cerchi tra la polvere ,/ povera mano, la città è morta ./ È morta: s’è udito l’ultimo rombo / sul cuore del Naviglio. E l’usignolo / è caduto dall’antenna, alta sul convento,/dove cantava prima del tramonto. / Non scavate pozzi nei cortili: / i vivi non hanno più sete./Non toccate i morti, così rossi, così gonfi: / lasciateli nella terra delle loro case: / la città è morta, è morta».

Le prime immagini che incontriamo sono quelle che, senza più voce, tentano una narrazione possibile della distruzione. Non è una mostra da visitare in velocità: per chi ormai conosce solo le scomodità della costruzione di una nuova linea metropolitana, incontrare gli spettri della guerra e realizzare che quelle arcate, quelle vetrate, quei mattoni erano stati ridotti in ammassi aggrovigliati e fumanti di rovine, è necessaria una pausa. Sono semplicemente moltissime immagini di scorci che i milanesi conoscono da sempre, ma che qui è complicato riconoscere.

Tra le macerie
Sono le schegge delle bombe che hanno colpito il Duomo, è Santa Maria Delle Grazie sventrata, è la Scala, con tutti i suoi palchi, i suoi loggioni e il suo soffitto, totalmente polverizzato, è la Basilica di Sant’Ambrogio, il castello Sforzesco, l’Archivio di Stato, il Duecentesco Palazzo Borromeo, il rinascimentale Ospedale Maggiore del Filarete, ossia la bellissima Università Statale. È la Galleria Vittorio Emanuele e Palazzo Reale, con la sala delle Cariatidi scoperchiata, aperta sul cielo.
Un cartellone appeso di fronte alla stazione Centrale ricorda qualche dato: «Milano distrutta dai Liberatori Anglosassoni. Chiese distrutte 83, scuole distrutte 144, Ospedali e Istituti Culturali 146, Case distrutte 10770». E ci sono gli orti di guerra in piazza Duomo, in piazza Repubblica, dell’infermeria e rifugio antiaereo in via Turati. E poi gli scatti che inquadrano i tanti sfollati che trascinano carretti con materassi, ragazze sedute vicino alle rotaie di un tram che non avrebbe portato più da nessuna parte.

Infine, la Resistenza: i 15 giovani antifascisti in piazza Loreto nel 1944 dove, un anno dopo, sarebbero stati messi, forse gettati, i corpi di Mussolini e Claretta.
Una mappa aiuta il visitatore nella ricerca dei vari luoghi colpiti dai raid nemici e, disseminati tra tutte le foto – tanto esplicite che la polvere delle macerie sembra quasi far tossire – troviamo anche reperti bellici, come le maschere antigas e il paracadute «da Bengala», usato per illuminare di notte la città prima dell’attacco. Sembra proprio che le illuminazioni notturne siano servite, soprattutto se Scala e Santa Maria delle Grazie (Cenacolo incluso), erano state identificate come obiettivi pericolosi e da distruggere.

14pg04af03
Qualche spiraglio
Nell’agosto del 1943 Alberto Savinio, mentre si aggirava incredulo tra le rovine di Milano da poco bombardata, aveva scritto nel suo taccuino: «Sopra il portone del numero 30 di via Brera, questa insegna: Impresa Pulizia Speranza. Che dire? È detto tutto». Aveva sperato, forse come tanti, che Milano non sarebbe morta.
Il percorso segna anche la fine dell’incubo grazie agli anni postbellici e alla spinta verso la rinascita. Forse una grande rinascita, o forse solo lenta e faticosa, ma indubbiamente un risollevarsi dalla disperazione degli anni attaversati dal conflitto mondiale.

Verso i grattacieli
Ed eccola qui allora, l’altra faccia di quegli anni che, dalla polvere della distruzione, ha ricominciato a costruire e a immaginare nuove soluzioni per rimettere in piedi Milano. Le fotografie allestite raccontano l’operazione di sgombero macerie del 1946, i treni raccolta macerie, poi vediamo le persone riversarsi per la strada: tornano a vivere e a lavorare, ci sono molte biciclette e tanti operai – quelli impiegati negli stabilimenti Breda, Pirelli, Innocenti. Sono anche gli anni di Lucia Bosé, fotografata nel negozio Alemagna.
Proprio in quei decenni sarebbe cominciata l’epoca dei grattacieli, del design, delle comodità, dei frigoriferi Breda e della televisione RadioMarelli RV112, della poltrona Lady di Marco Zanuso, e della prima cabina telefonica in Italia, proprio a Milano, in Piazza San Babila. Avrebbero aperto nuovi musei e, nel 1953 sarebbe stata inaugurata la mostra su Picasso, con Guerinica nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale.
La narrazione della mostra prosegue anche alla biblioteca Gorla, con un approfondimento sul bombardamento del 20 ottobre 1944, in cui morirono 184 bambini nella scuola Francesco Crispi, e alla Biblioteca Gallaratese nel quartiere Q8, simbolo della rinascita della città.