Cercare posizioni coerenti è un esercizio inutile, quando si parla di legge elettorale. Anna Finocchiaro, la neo ministra ai rapporti con il parlamento alla quale è affidato uno dei due dossier chiave del governo Gentiloni, quello appunto del sistema di voto (l’altro è il bilancio che non si muove dalle mani di Padoan), ha presentato in questa legislatura un disegno di legge per il ritorno al Mattarellum. Era il 20 maggio 2013, ma solo otto giorni dopo alzò la voce contro il deputato Giachetti, autore di una mozione che proponeva proprio il ritorno al Mattarellum: «Atto prepotente e intempestivo». Da presidente della prima commissione del senato si diede anzi da fare per togliere alla camera la legge elettorale. Si era allora, però, al tempo del governo Letta. E dello schema renziani (Giachetti) anti renziani (Finocchiaro); l’eco del «miserabile» (di Finocchiaro a Renzi) era ancora nell’aria.
Ora fa sensazione che Salvini proponga il Mattarellum. ma solo perché ci si è dimenticati di quel giorno (sempre in questa legislatura) in cui Calderoli si presentò con un mattarello di legno al senato, e ci incollò sopra gli emendamenti all’Italicum. Il Mattarellum al leghisti, e piaceva anche a Grillo, che nella precedente crisi di governo strillava «Mattarellum e subito al voto» più o meno come adesso grida «Italicum e subito al voto».

Fuori dall’esecutivo, Anna Finocchiaro è stata una protagonista decisiva delle riforme del governo Renzi, quella costituzionale bocciata dagli elettori e quella elettorale avviata alla stessa sorte per mano della Corte costituzionale. La legge elettorale bisogna riscriverla. E Finocchiaro può essere la persona giusta, lei che dopo un iniziale diffidenza ha preso per mano la ministra Boschi – «mi è scattato il maternage» – e adesso dovrà raccogliere le macerie che lascia. O che lasciano, sarebbe più corretto dire, visto che nel doppio ruolo di presidente della commissione affari costituzionali e relatrice, Finocchiaro ha garantito tanto l’Italicum quanto la riforma Costituzionale attraverso il passaggio stretto del senato. Suoi diversi interventi decisivi, il più celebre la pezza sulle richieste della minoranza Pd di far scegliere ai cittadini i senatori, quel «in conformità alle scelte espresse dagli elettori» che avrebbe sicuramente alimentato il caos nei consigli regionali e in senato. Per fortuna il referendum ha travolto anche quel non glorioso compromesso. Anche se davanti al parlamento c’è adesso un altro vicolo cieco.
Non si può dire che Finocchiaro non fosse consapevole del problema. Del resto presiedeva lei la commissione quando fior di costituzionalisti spiegarono ai senatori che una legge elettorale per la sola camera dei deputati (l’Italicum), in anticipo rispetto alla riforma costituzionale che avrebbe dovuto eliminare il senato elettivo, avrebbe mandato in tilt il sistema istituzionale in caso di mancata approvazione della riforma. Fu proprio lei a dire che bisognava «ragionare» su una clausola di «salvaguardia» nel caso di elezioni anticipate, esattamente il punto in cui siamo adesso. E quella clausola doveva essere il Mattarellum. Anche perché più facile da attivare, trattandosi di tornare al sistema precedente al Porcellum, semi abbattuto dalla Corte costituzionale. Il «ragionamento» di Finocchiaro serviva allora a spaventare Berlusconi, che infatti si spaventò e concesse il suo ultimo sì all’Italicum. La clausola di salvaguardia fu dimenticata presto da Finocchiaro, e anche da Renzi.

Ma non è stato dimenticato il Mattarellum, che era anche nella tripletta di proposte avanzate dal sindaco di Firenze quando non era ancora a palazzo Chigi (con il sistema spagnolo e il doppio turno dei sindaci). Un Mattarellum che però è solo un lontano parente delle leggi (per la camera e per il senato) firmate nel 1993 dall’attuale capo dello stato. Perché il Mattarellum è un sistema maggioritario uninominale, capace anche di garantire il 25% di quota proporzionale e di tenerla al riparo dai partiti più grandi con il meccanismo dello scorporo (meccanismo che fu usato in maniera maliziosa e ingannevole attraverso le liste civetta).
Il Mattarellum al quale può puntare adesso il governo, e di nuovo Renzi, è invece drogato con due ulteriori premi di maggioranza, insieme a quello fisiologico dell’uninominale (tutti i voti andati al candidato perdente nel collegio, infatti, sono a vuoto). Si prevede infatti, sin dal disegno di legge Finocchiaro, l’abolizione dello scorporo. E l’inserimento di un premio di maggioranza esplicito: il 55% dei seggi garantito per la lista che conquista il 40% dei voti – che è la stessa proporzione dell’Italicum.
Un premio del genere avrebbe fatto comodo a Prodi nel 1996. Ma non sarebbe servito a Berlusconi nel 2001 e neppure nel 1994 (gli bastò comprare un paio di senatori). Il Mattarellum si è dimostrato infatti in grado di garantire maggioranze solide. Due legislature su tre sono arrivate al termine naturale, le crisi sono state provocate da rotture politiche successive alla formazione degli esecutivi. Per Gentiloni c’è una strada per riproporlo, anche questa suggerita dalla vecchia proposta Finocchiaro: la legge delega.