Erano almeno in 30mila ieri a Napoli per lo sciopero generale del centro sud indetto dalla Fiom. Un corteo che si è snodato dalla Stazione centrale a piazza Matteotti, talmente affollato che la coda è arrivata a destinazione quando il leader della tute blu della Cgil, Maurizio Landini, aveva già iniziato il comizio conclusivo. Accanto a lui durante il percorso padre Alex Zanotelli e don Peppino Gambardella, il parroco di Pomigliano d’Arco che ha sempre sostenuto gli operai Fiat.

«È una manifestazione inclusiva», l’ha definita Landini, non a caso con i metalmeccanici c’erano anche i familiari delle vittime dell’Eternit di Bagnoli e il comitato «Stop biocidio» contro la truffa dei rifiuti che ha inquinato il territorio. All’altezza dell’università Federico II i lavoratori vengono accolti da studenti e precari che una settimana fa avevano dato vita allo sciopero sociale, in 12mila a bloccare la città: «Siamo un soggetto diverso – spiegano – ma siamo lo stesso blocco sociale della Fiom, siamo qui per avviare una discussione pubblica sulle politiche del lavoro. Non abbiamo rappresentanza politica né sindacale, vogliamo dialogare per costruire un nuovo Statuto dei lavoratori. Il 30 novembre ci sarà a Napoli l’assemblea nazionale dello Strike meeting, costruiremo un nostro percorso verso lo sciopero generale di metà dicembre».

Il corteo passa tra cori e applausi, intanto da Pomigliano si è messa in moto nientemeno che una Hummer limousine, scintillante e lunghissima: «Renzi e Marchionne alle catene. Operai in Paradiso» è scritto sulle maglie dagli esponenti del «Comitato di lotta Cassaintegrati e licenziati della Fiat Pomigliano», sono i lavoratori sindacalizzati e/o con ridotte capacità lavorative che il Lingotto ha spedito nel reparto confino di Nola in cassa integrazione perenne. «Gente che guadagna milioni ha il potere di decidere sulla pelle di chi campa con 700 euro al mese» raccontano. Sono gli stessi che, dopo il suicidio di tre loro colleghi, avevano inscenato funerali all’ingresso della Fiat, il manichino con il volto di Marchionne impiccato per la vergogna. Per questo in cinque sono stati licenziati.

Dal palco Maurizio Landini chiede politiche industriali e investimenti: «Renzi dice che crea lavoro? Semmai trasforma il lavoro in schiavitù sottraendo diritti. L’Italia è fatta di piccole e medie imprese dove l’art 18 non si applica nemmeno. Se non ci sono investimenti è per la corruzione. Perché non mette la fiducia su provvedimenti contro il falso in bilancio, l’evasione, i capitali all’estero? Perché Confindustria non espelle i corruttori e gli evasori? Non ci interessa far cadere il governo ma cambiare le politiche. A Renzi diciamo che non ci fermeremo».

Il Sud soffre di più ma è l’intero paese che è in ginocchio. Così il leader Fiom chiede l’intervento pubblico per l’Ilva di Taranto, promette battaglia per l’Ast di Terni per poi rivolgersi a Mario Moretti, ad di Finmeccanica: «Se i conti non vanno siamo accanto a te per risanare ma diciamo no alla svendita delle imprese del gruppo». Per le politiche di Marchionne basta guardare alla Germania: la Volkswagen ha acquistato la Ducati, la Lamborghini e le officine Giugiaro; in Italia si producono 400mila vetture all’anno, dall’altro lato delle Alpi 6 milioni. «Sindacati, governo e industrie stanno già pianificando le vetture elettriche entro il 2020», ricorda.

Due pullman si sono messi in viaggio da Terni con gli operai Thyssen. Ieri le forze dell’ordine si sono tenute lontane ma Domenico Tonelli ha ancora i segni delle manganellate: «Non abbiamo intenzione di fermarci» racconta con la voce roca dopo oltre un mese di presidio continuo.

Sono arrivati da altre regioni, ci sono i lavoratori dell’Ilva di Taranto, una delegazione da Bari, altri dal foggiano. E poi da Potenza, Pescara.

Tanti dal Lazio. Da Rieti una fitta delegazione della Schneider: producono materiale elettrico di alta qualità per l’Enel, un’azienda in salute che tuttavia ha licenziato 200 lavoratori per delocalizzare in Cina: «La nostra zona- racconta Walter Filippi – negli anni ’80 aveva i Pil più alto della regione, oggi è in crisi nera». Non va meglio alla Fiat di Cassino dove si produce solo la Giulietta.

In tanti anche dalla Calabria: «Da noi – spiega Massimo Covello – la De Masi spa era leader nella costruzione di macchine agricole. Ha chiuso per usura bancaria e per la ‘ndrangheta, il portone è presidiato dall’esercito».
Ciro D’Alessio e Antonio Di Luca lavorano alla Fiat di Pomigliano, dove nel 2010 è cominciato l’attacco al contratto nazionale, allo Statuto dei lavoratori e alle libertà sindacali: «Qualcuno di noi è rientrato in fabbrica solo grazie alle sentenze dei tribunali. Abbiamo detto no all’accordo capestro dell’azienda e continueremo a lottare fin quando non rientreranno tutti, lavoratori diretti e dell’indotto».

L’indotto è quello messo peggio, alla Pcma di Napoli lavorano in 140 su 700 e solo per una settimana al mese.

«Il governo – conclude Landini – ci aveva proposto riduzioni di salario e licenziamenti per l’Ast. Se accetti una proposta simile per risolvere la crisi poi la si applica da per tutto. Noi i licenziamenti non li firmeremo mai, né a Terni, né altrove».