Agli albori dell’era cristiana la vita religiosa nell’impero era tutt’altro che uniforme: infatti essa raccoglieva tanto l’eredità dei popoli romanizzati nei secoli precedenti, quanto quella dei culti di origine orientale.
A partire dal I sec. a.C., Roma aveva conosciuto culti a carattere misterico provenienti dalle regioni orientali del mondo mediterraneo: in particolare, si svilupparono forme di Misteri maggiormente improntate alla segretezza e al carattere privato invece che pubblico delle iniziazioni. Questi riti riempivano un vuoto insito nella religiosità tradizionale, che sembrava esaurirsi nell’ufficialità dei culti e svilupparsi in modo del tutto esteriore: essi, per contro, erano incentrati attorno a forme di messaggio che riguardavano la salvezza individuale e l’immortalità dell’anima.
La diffusione dei culti solari influenzò la stessa figura di Giove-Iuppiter, che si dibatteva tra una perdita d’importanza a favore del Sol Invictus e una sua «solarizzazione». Questo processo, che nell’Egitto ellenistico aveva condotto alla divinizzazione di Alessandro Magno, finì col convergere con la progressiva divinizzazione della stessa figura degli imperatori romani. La nuova fede giunse a Roma mimetizzata fra le altre tendenze religiose orientalizzanti: le vicende della sua prima espansione nell’impero, e specie nella sua parte occidentale, sono in larga parte oscure. La progressiva diffusione sociale del cristianesimo nell’impero, già a partire dal II secolo, non poteva dunque lasciare indifferenti le autorità.

Dopo alcuni sporadici tentativi di repressione, tra la fine del II e gli inizi del III secolo l’atteggiamento delle autorità romane era stato sostanzialmente improntato alla tolleranza. Ma la difficile situazione attraversata da Roma e il rapido proselitismo dei cristiani attiravano il malcontento sulle comunità: divenne dunque necessario adottare provvedimenti di maggior peso. Nel 250 si scatenò un accanimento anticristiano ma nel 260, per volontà dell’imperatore Gallieno, cessarono le persecuzioni e per i cristiani ebbe inizio un quarantennio di pace. Durante il regno di Diocleziano la pace instaurata da Gallieno venne tuttavia interrotta. Le persecuzioni continuarono sino al 311, quando l’imperatore Galerio emanò un editto di tolleranza. La svolta fondamentale per la vita del cristianesimo nell’impero giunse però due anni più tardi – nel 313 – con l’editto emanato a Milano da Costantino, nel quale si dava piena libertà di culto a tutte le fedi dell’impero.
La vicenda, con i suoi sviluppi fino al VII secolo, viene ricostruita da un denso e al contempo agile libro di Rene Pfeilschifter, Il Tardoantico. Il Dio unico e i molti sovrani (Einaudi, pp. 268 euro 26), parte di una collana di Storia del mondo romano (all’interno della quale si colloca anche il libro di Armin Eich, L’Età dei Cesari, Le legioni e l’impero).
Ovviamente, siamo agli sgoccioli del mondo romano, ma solo della sua parte occidentale: perché il trasferimento a Costantinopoli significa il trasferimento del baricentro dell’impero a Oriente, quasi un completamento del processo di ellenizzazione del quale si è detto. A conclusione del testo, le parti relative al mondo germanico e all’avanzata arabo-musulmana sono leggermente affrettate e tendono talvolta ad affermare più che ad argomentare: per esempio a proposito dell’accoglienza positiva riservata all’Islam dalle popolazioni del Vicino Oriente che subivano il giogo pesante dell’impero, qui assai sfumata benché accettata ormai da larga parte della storiografia specialistica.

Ma nel complesso siamo di fronte a un quadro completo di un’età nonché di un luogo: il bacino del Mediterraneo. Per il mondo romano, quello era il centro, quelli i confini del mondo che davvero contava. Per l’Europa, i secoli successivi avrebbero rappresentato la chiusura, la ruralizzazione, almeno fino alla ripresa del secondo millennio. Al di fuori dell’Europa, pulsava un mondo dinamico, del quale qualcosa ma non troppo si sapeva, per esempio, alla corte di Carlo Magno: soprattutto grazie ai suoi rapporti con il califfato di Baghdad e naturalmente con Bisanzio.
Oggi, però, la storia globale si va facendo da curiosità, necessità. Così è benvenuto il libro di Paolo Golinelli, Un millennio fa. Storia globale del pieno medioevo (Mursia, pp. 518, euro 22) che traccia un quadro ricco di ciò che succedeva intorno al mondo prima che i contatti fra le sue varie parti divenissero una realtà. Così incontriamo la Cina dei Song, i regni africani che inviano l’oro verso il Mediterraneo, il nuovo mondo precolombiano; ma anche culture più vicine, come quelle dei popoli nordici e baltici. Oltre ovviamente al mondo islamico, a quello bizantino, insomma alle realtà più vicine a quelle euroccidentali.
Sappiamo che l’espansione successiva dell’Europa fuori dai suoi confini, da inizialmente timida, si sarebbe fatta sempre più possente. La globalizzazone nasce con quella espansione, con l’età delle grandi navigazioni, delle grandi scoperte, che avrebbe creato contatti sebbene al prezzo della distruzione e/o dell’acculturazione di molti dei popoli che gli europei incontrarono e sottomisero. A maggior ragone per questo fa piacere un libro in grao di tracciare un quadro di quel mondo preglobale. Un esercizio al quale si stanno dedicando molti storici angloamericani, ma ancora raro nella storiografia italiana