Giornata cruciale, oggi, per l’Argentina nel contenzioso che oppone il governo di Cristina Kirckner ai «fondi avvoltoi». A New York, il gudice statunitense Thomas Griesa ha fissato per le 14,30 un’udienza di mediazione fra le parti. E il tempo corre: secondo la sentenza di Griesa, a fine mese Buenos Aires dovrebbe pagare 1,3 miliardi di dollari ai grandi fondi di investimento Usa che non hanno accettato di rinegoziare il debito come ha fatto il 93% dei creditori: nel 2005, nel 2010 e nel 2013. Per l’Argentina torna così lo spettro del default: come avvenne nel 2001, quando il paese venne portato al fallimento dalle politiche neoliberiste e dai poteri finanziari. Speculando sul debito (comprandone cioè quote a bassissimo costo e poi chiedendo alle banche il pagamento per intero), i cosiddetti fondi avvoltoi pretendono l’intera somma. E hanno trovato appoggio nei tribunali nordamericani, nella persona del giudice Griesa.

Nel 2012, il giudice ha deciso in prima istanza di dar ragione agli uomini di Wall Street e ha imposto all’Argentina il pagamento di 1,3 miliardi. In appello, Buenos aires ha presentato due proposte di negoziato, che sono state respinte. Non è stata neanche tenuta in considerazione la raccomandazione del governo Usa, secondo la quale non era opportuno che i creditori individuali mandassero all’aria l’intera operazione di ristrutturazione del debito. Infatti, se la sentenza diventasse esecutiva, anche i fondi che hanno rinegoziato il debito potrebbero a loro volta pretendere l’intero pagamento iniziale. E vi sono sentenze pendenti con l’Argentina in altri paesi, dall’Italia alla Francia. Fatti tutti i conti, Buenos Aires si troverebbe a dover pagare circa 144 miliardi di dollari. La decisione aprirebbe inoltre la strada a percorsi analoghi per altri paesi in crisi.

L’Argentina si è rivolta alla Corte suprema Usa, ma il ricorso è stato respinto e la decisione è tornata nelle mani di Griesa. L’ultima sentenza è arrivata il 16 giugno, a due settimane dalla scadenza del pagamento nei confronti dei detentori di fondi che hanno negoziato il debito. Griesa ha minacciato di devolvere agli avvoltoi i soldi depositati dal governo Kirchner nelle banche newyorchesi. Poi non lo ha fatto, ma non ha comunque consentito che arrivassero ai creditori legittimi. Nel frattempo sono cominciati gli incontri fra gli avvocati del governo argentino e quelli degli avvoltoi per arrivare a un accordo: «Pagheremo, ma senza cedere agli strozzini», ha detto Cristina Kirchner. E ha iniziato a chiedere sostegno a livello internazionale. Lo ha ottenuto prima di tutto all’interno degli organismi regionali come l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba) e la Unasur. Già nel 2010, cinque anni dopo che la Cuba di Fidel Castro e il Venezuela di Hugo Chavez, insieme a Nestor Kirchner mandassero in fumo l’accordo neoliberista dell’Alca, la Unasur si era espressa contro i fondi avvoltoi e lo strapotere dei tribunali di arbitraggio internazionali, proni alle grandi corporation. E, di recente, il problema è stato posto con forza anche nell’ultimo vertice dei paesi emergenti (i Brics), che si è tenuto in Brasile. In quell’occasione, i Brics hanno istituito una banca dello sviluppo e fondi per soccorrere paesi in crisi di insolvenza senza sottostare ai diktat del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. Era presente l’intero arco dei paesi americani e caraibici (tranne Usa e Canada), riuniti nella Celac: tutti d’accordo nel sostenere l’Argentina.