Certe notizie, al Tg1 che non le dà, suonerebbero così: «Dopo il Flash-mob del week-end dei riders di Foodora, lo shitf supervisor manager della start-up del food take-away banna dalla chat di Whatsapp e dalla App due promoter che partecipano a un meeting con i riders». Tradotto: «Dopo la mobilitazione indetta nel fine settimana dai lavoratori di Foodora, il responsabile turni dell’azienda che consegna cibo a domicilio licenzia due lavoratrici che partecipano a una riunione sindacale». Ho omesso, in questa traduzione, le virgolette. Prima e dopo “riunione sindacale”, che se non ci sono lavoratori dipendenti non c’è sindacato né delegati né permessi sindacali. Prima e dopo “mobilitazione”, che questa, tecnicamente, è un’interruzione momentanea della collaborazione da parte dei collaboratori a chiamata. Prima e dopo “lavoratori”, che chi lavora per cinque euro l’ora, senza indennità, tutele, contributi, ferie, malattia, non è dipendente dell’azienda anche se dall’azienda dipende, essendo lei che decide se un’ora si lavora o no, anche quando l’ora è cominciata e tu stai collaborando da 20 minuti ma non servi più e allora il conteggio si ferma ma il tempo no, il tempo corre e tu con lui, sulla bicicletta – tua – con la divisa – dell’azienda – che fai pubblicità al marchio mentre attendi per una o due ore che il conteggio riparta, una o due ore di lavoro non retribuito. L’azienda ha però spiegato che «i riders» non dovrebbero protestare perché svolgono «Un lavoro da tempo libero». Siamo nella «Sharing-economy» e Foodora non offre mica lavoro: «Dà a chi ama andare in bici la possibilità di guadagnarci». Per anni, hanno cercato di convincere i lavoratori che non avevo diritto ai diritti. Così, quando glieli hanno tolti, non hanno troppo protestato. Ora cercano di convincere i lavoratori che non hanno diritto al lavoro. Chiamandoli «Bikers» invece di «fattorini», perché l’oppio dei popoli non è la religione. È l’inglese.

 

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