Con le rivendicazioni il governo turco non ha fortuna: sceglie sempre il cavallo sbagliato. Ma è testardo ed insiste: se continua ad attribuire al Pkk azioni compiute da altri, attribuisce ai gulenisti l’omicidio dell’ambasciatore russo Karlov rivendicato – sembra – ieri da Jaysh al-Fatah.

Jaysh al-Fatah, l’Esercito della Conquista, non è un gruppo qualsiasi: è la federazione di gruppi jihadisti creata per volere dell’ex al-Nusra (oggi Jabhat Fatah al-Sham) in Siria con l’obiettivo di imporre la Shari’a in un futuro califfato sunnita. È nato nel 2015 tra Idlib e Hama e ha suggellato l’alleanza tra milizie islamiste e salafite intorno alla leadership qaedista.

Di Jaysh al-Fatah fanno parte, tra le altre, fazioni che con la Turchia hanno avuto sempre un legame speciale: Ahrar al-Sham, i salafiti invitati a Ginevra; Nour al-Din al-Zenki; e il Turkistan Islamic Party, gruppo di ispirazione islamista fondamentalista e pan-turchista.

Ieri online è apparsa la rivendicazione, ripresa dall’agenzia iraniana Isna e da diversi media turchi e russi: «Uno degli eroi di Jaysh al-Fatah, Mert Altintas, ha giustiziato l’ambasciatore russo Andrey Karlov ad Ankara», primo atto di vendetta per le donne, i bambini e gli anziani uccisi ad Aleppo.

Torna la città siriana, ampiamente citata dal killer lunedì sera dopo aver ucciso con numerosi colpi Karlov, nel Centro di Arti Moderne della capitale turca. Il giorno prima l’Isis si era attribuito gli attacchi nella giordana Karak, a dimostrazione di un fronte jihadista che si allarga a tutta la regione.

Nel pomeriggio uno dei portavoce dell’ex al-Nusra, Muhammad al-Ansari, ha smentito all’Ansa legami con l’omicidio dell’ambasciatore russo. Ma i dubbi restano, vista l’assenza di altri comunicati ufficiali. Nella presunta rivendicazione aggiunge un elemento in più: il ruolo di collaborazione nell’omicidio avuto dai Lupi Grigi e da soggetti turkmeni islamisti. Ovvero dall’ultradestra nazionalista turca e da gruppi che Ankara sostiene in Siria contro i kurdi e contro il fronte pro-Assad. Crollerebbe così il castello di carte accuratamente costruito da Erdogan che sulla pista gulenista ha fondato la salvaguardia dei rapporti con la Russia.

Ma Ankara insiste e lo fanno anche i media nazionali di destra e quelli più vicini al governo: se dietro all’omicidio ci sono gli islamisti e i qaedisti di al-Nusra (come ha provato a dire la sinistra turca), si scoperchierebbe il vaso di Pandora e tutte le ipocrisie nascoste dentro potrebbero devastare i piani di negoziato russo-turchi.

Ieri il Cremlino ha preferito prendere tempo: «Dobbiamo aspettare i risultati del gruppo investigativo congiunto – ha detto il portavoce Peskov – Non dovremmo avere fretta di trarre conclusioni fino a quando l’inchiesta non identificherà chi è dentro l’assassinio del nostro ambasciatore». Nelle stesse ore il ministro degli Esteri turco Cavusoglu discuteva la questione con il segretario di Stato Usa Kerry, ribadendogli la convinzione della pista gulenista.

A sostegno di questa tesi, ieri la stampa pro-governativa turca raccontava i legami di Altintas, il poliziotto-killer di 22 anni, con il movimento Hizmet dell’imam Gulen. Aveva partecipato ad alcuni meeting gulenisti a Smirne nel 2015, frequentò una scuola poi chiusa per legami con Hizmet e prese un permesso il giorno dopo il tentato putsch.

Ma a questa biografia vanno aggiunti altri frammenti del puzzle: Altintas ha servito a lungo nei reparti anti-sommossa nel distretto di Diyarbakir, nel sud-est kurdo, dove vengono impiegati molti nazionalisti estremisti proprio per volere del partito di governo Akp; ha fatto parte della scorta del presidente Erdogan per almeno otto volte dopo il 15 luglio 2016, giorno del tentato golpe; e ha compiuto appostamenti a Smirne per monitorare incontri di sospetti gulenisti.

Intanto aumenta il numero di persone finite in prigione nell’ambito delle indagini sull’omicidio di Karlov: al momento sono 12, tra loro sei familiari (padre, madre, due sorelle e due zii), il coinquilino, quattro poliziotti che hanno lavorato nella stessa unità e un uomo che guiderebbe una rete affiliata a Gulen all’interno dell’accademia di polizia di Smirne.

Dall’altra parte del confine, in Siria, prosegue l’operazione “Scudo dell’Eufrate” con cui Ankara e l’Esercito Libero Siriano provano a porre fine all’unità kurda. I miliziani hanno preso ieri il controllo della strada che collega al-Bab (occupata dall’Isis) ad Aleppo, coperti dai raid turchi.

Ad Aleppo invece continua l’evacuazione, dopo un giorno di stop: gli autobus non si erano mossi da martedì (secondo il governo a causa di alcuni prigionieri pro-governativi non rilasciati dai miliziani) e circa 3mila persone erano rimaste in attesa ai checkpoint, nel freddo invernale e senza cibo. Nelle stesse ore l’esercito governativo ha dato un ultimatum ai miliziani ancora ad Aleppo est perché se ne vadano subito. Resta dentro proprio Jaysh al-Fatah, contrario all’accordo.