Peggio di così non poteva andare, e l’uomo di Arcore, che stupido non è, lo sa perfettamente. Un giro elettorale in due regioni, e l’ex armata azzurra è passata da baricentro ad anello debole della destra. Non è solo il crollo di voti: 8,36% in Emilia-Romagna, 12,28% in Calabria. Non è solo l’essere stati non solo superati ma addirittura doppiati dall’agguerrito Carroccio di Salvini. E’ che persino l’Ncd ha portato a casa un risultato che lo autorizza a sperare e gli permette di sopravvivere, sia pur solo grazie all’asse con Ucd: un miserrimo 2,63% nella regione del nord, ma in Calabria un 8,70% che permette per un soffio di passare la soglia di sbarramento e addirittura, come da iperbole firmata Alfano, di accreditarsi come trionfatore alla pari con Salvini: «Lui è protagonista di una destra che si arrende alla sconfitta, al sud invece la sorpresa siamo noi con un risultato straordinario».

No, Berlusconi non è uno stupido, e dunque non solo valuta perfettamente la portata del disastro, ma ne conosce la malefica fonte: il patto del Nazareno. Quell’alleanza con Matteo Renzi che tanto è piaciuta a chi guida la sua azienda quanto è spiaciuta al popolo votante. Ma Berlusconi sa anche di non poter sparare su quel patto, dopo aver passato mesi a esaltarlo in nome del proprio alto senso di responsabilità. «Dopo aver sbandierato la responsabilità per mesi, come spieghiamo che siccome abbiamo preso l’8% in Emilia non siamo più responsabili?», chiosa secco un dirigente vicino al capo. Non si può fare. Dunque Berlusconi continuerà a vantare lo spirito di responsabile sacrificio che lo ha spinto a riempirsi le ali di piombo renziano permettendo a Salvini di cavalcare la protesta. Però, allo stesso tempo, inizierà a premere il freno a tavoletta, cercando di smarcarsi senza darlo troppo a vedere dal mortale abbraccio. Sempre che, nei prossimi giorni, le considerazioni aziendali non tornino ad avere al meglio.
Sul fronte economico il gioco sarà più facile. Berlusconi sparerà a zero sulle riforme di Renzi, o fingerà di farlo. Il no tax day gli offrirà l’occasione per regalare agli elettori superstiti un po’ di colore oppositivo. Ma non è lì che si decide la partita. E’ sulla tenuta del Nazareno, sulla vicinanza persino affettuosa con quello che dovrebbe essere il nemico numero uno, che l’ex protagonista assoluto della politica italiana deve invertire la rotta se vuole provare a recuperare l’emorragia di consensi. Ne è consapevole. Ieri, con gli intimi, si diceva determinato a farlo e probabilmente lo pensava davvero. Se manterrà ferma la decisione, dato il carattere dell’uomo, oggi è impossibile dirlo.

Ma i rapporti di forza nella destra sono solo una parte del devastante quadro. Poi ci sono le rogne interne, e sono quelle a scatenare davvero le ire di Berlusconi. Quando gli arrivano sul tavolo le dichiarazioni di Raffaele Fitto, poco ci manca che gli prenda un accidente per la rabbia. Il pugliese non va giù di fioretto: «Mi auguro che nessuno si azzardi a minimizzare o cercare alibi… Non abbiamo il diritto di nasconderci dietro l’astensione, che colpisce soprattutto noi… A questo punto mi pare il minimo azzerare tutte le nomine per dare il via a una fase di vero rinnovamento».
Seguono dichiarazioni in tono da parte di diversi forzisti vicini a don Raffaele. L’ex onnipotente ruggisce e sbraita. Risuona ancora una volta l’accusa, già gettata direttamente in faccia al reprobo, di essere «un democristiano». Fosse per lui, l’umiliato e offeso replicherebbe a stretto giro dettando alle agenzie una dichiarazione di fuoco. Lo fermano, ma a fatica. Se sarà possibile indurlo alla diplomazia oggi a Roma, nella presentazione del libro di Bruno Vespa, non si azzarda ad anticiparlo nessuno.

Quella di Fitto è una dichiarazione di guerra, anticipata dal durissimo attacco del tesoriere Bianconi, rivolto direttamente al bersaglio grosso, a Silvio Berlusconi. Un errore, dice apertamente Minzolini. Fitto, pur non esternando, la pensa allo stesso modo. Berlusconi è un’icona: va salvaguardata, chiedendo però che intorno a lui sia fatta piazza pulita del gruppo dirigente, a partire da Gianni Letta. Questo proveranno a imporre, a partire da oggi, i ribelli. Ma che Berlusconi ceda a Fitto, considerato ormai alla stregua di Fini o Alfano, è difficile. Tanto quanto è facile, di conseguenza, prevedere giornate tempestose, forse deflagranti, sotto la bandiera di Arcore.

Nella notte più oscura, Berlusconi vede solo un pallido raggio di luce: l’affermazione di Matteo Salvini. Perché l’ipotesi di tornare all’alleanza con il Carroccio, l’ex re della destra non la ha affatto cestinata. «Da imprenditore – commenta chi ci ha parlato ieri – pensa che il risultato della Lega si possa capitalizzare. E comunque preferirebbe di gran lunga allearsi con Salvini che con Alfano».