Tutti i sondaggi sono concordi: se l’8 novembre a votare fossero solo quelli che il censimento degli Stati Uniti definisce come «bianchi caucasici», vincerebbe Donald Trump. Uno dei fantasmi ricorrenti del dibattito pubblico americano sta così definitivamente prendendo corpo.

Il tema dello sviluppo di una sorta di «nuova classe», a metà strada tra l’appartenenza sociale e lo stato d’animo collettivo, indicata con il termine di «maschi bianchi arrabiati», si segnala infatti fin dagli anni Novanta per definire i sentimenti di frustrazione e malessere della working class come del ceto medio bianco.

In assenza, a lungo, di studi e inchieste specifiche, la cultura di massa aveva offerto un ritratto-tipo dei presunti protagonisti di questo fenomeno attraverso la figura di Bill Foster, il protagonista del film Un giorno di ordinaria follia, diretto nel 1993 da Joel Schumacher e interpretato da Michael Douglas: un bianco quarantenne che ha perso il lavoro che nel pieno del traffico estivo di Los Angeles finisce per perdere la testa e distrugge tutto ciò che incontra al suo passaggio.

ALL’EPOCA il personaggio fu considerato il simbolo del disagio tra i bianchi diplomati, il cuore della piccola borghesia del paese, le prime vittime di quella redistribuzione della ricchezza verso l’alto condotta dalle amministrazioni repubblicane fin dagli anni di Reagan che ha favorito i manager delle aziende a sfavore di tutti gli altri. Invece di prendersela con gli yuppie o con la politica della destra, ancora una volta il nemico sono diventate le minoranze, le donne e le istituzioni federali.

L’emergenza di questa componente della società americana torna oggi d’attualità con la corsa di Trump visto che sono stati proprio i «bianchi arrabbiati» a determinare la sua affermazione nelle primarie del Gop. Nel frattempo, il sociologo della Stony Brook University di New York Michael Kimmel, che studia da tempo i vari aspetti della culture maschili e le loro manifestazioni anche estreme, ad esempio nel movimento delle Milizie come tra i sostenitori del II emendamento, i fanatici delle armi, ha cercato di fissare nel volume Angry White Men (Nation Books, pp. 316, $ 16,99) i contorni fin qui incerti del fenomeno parlando di figure maschili che «esprimono in forme sempre più aggressive il loro risentimento nei confronti dei profondi cambiamenti economici, sociali e politici che hanno trasformato il paese nel corso degli ultimi decenni».

Individui che si sentono in qualche modo defraudati, privati senza motivo di qualcosa che apparteneva loro: in particolare di «quei privilegi di razza e di genere che hanno caratterizzato a lungo i membri maschili della working class bianca».

IN QUESTO SENSO, la trasformazione demografica del paese, la fine delle tradizionali gerarchie razziali, i «nuovi» diritti acquisiti dalle donne, da gay e lesbiche, come la precarizzazione lavorativa e la perdita di status, sembrano aver prodotto in questa componente tutt’altro che marginale della comunità bianca un senso di ansia e frustrazione che già durante gli anni di Obama si sono espresse attraverso una radicalizzazione politica a destra, poi assecondata da molti dirigenti del Partito repubblicano. Ma che, suggerisce ancora Kimmel, emerge talvolta anche nelle storie personali dei giovani bianchi del ceto medio responsabili di eccidi apparentemente senza senso in scuole e college. Se qualcuno pensava che il portato della candidatura di Trump si sarebbe arrestato, quale ne sia l’esito finale, al voto, ha ora nuovi argomenti per riflettere.