Alla riapertura delle scuole, il 1° settembre, i dodici milioni di allievi dalla prima elementare alla Terminale del liceo hanno trovato ad accoglierli, di fronte agli istituti scolastici, militari e gendarmi. Più di tremila riservisti sono stati chiamati in rinforzo e ormai delle pattuglie mobili veglieranno tutto l’anno nei dintorni delle settantasettemila scuole di ogni grado. È la conseguenza degli attentati, da Charlie Hebdo nel gennaio 2015 fino a Saint-Etienne-du-Rouvray, passando per i massacri del 13 novembre a Parigi e del 14 luglio a Nizza e della minaccia che grava sulle scuole, dopo la pubblicazione nel novembre del 2015 su una rivista di propaganda di Daesh di un appello a «combattere» e a «uccidere» gli insegnanti.

Per il ministero dell’Educazione nazionale, «la minaccia non è più forte né meno forte, è semplicemente eccezionale». La scuola, tradizionalmente considerata un «santuario» che protegge dai soprassalti della società, non può più permettersi il suo splendido isolamento. Il governo vuole che nasca «una nuova cultura della sicurezza»: sono stati stanziati cinquanta milioni supplementari per rendere più sicuri gli edifici scolastici, si generalizza il controllo delle cartelle all’entrata, ogni scuola dovrà fare tre esercizi di sicurezza l’anno, tra cui uno prima delle vacanze dei Santi, con la simulazione di «un’intrusione» di terroristi (con la presenza eventuale di poliziotti, ma senza l’uso di armi finte).

L’esercizio riguarderà anche i bambini della materna, un’impresa non facile da realizzare per evitare di diffondere il panico (è stato pensato sotto forma di gioco «a nascondersi», in silenzio, poi fermi come delle statuine). Nell’ultimo anno delle medie (che qui durano 4 anni) ci sarà una formazione obbligatoria ai primi soccorsi. E già riparte la polemica dell’anno scorso sulla sigaretta (ai licei): dove fumare, visto che all’interno, anche in cortile, è proibito, ma ormai è sconsigliato formare gruppi all’esterno, di fronte al portone?

Dall’autunno del 2014, gli insegnanti sono incoraggiati a segnalare gli allievi (e i colleghi) in «via di radicalizzazione»: una misura che continua a suscitare polemiche, ma che solo nel primo trimestre dello sorso anno scolastico ha portato a 617 segnalazioni, che erano state 857 l’anno precedente. Gli insegnanti schedati «S» saranno sospesi immediatamente (pare ce ne siano una decina). I comuni e le regioni guidate dalla destra stanno spingendo la politica della sicurezza all’estremo. Laurent Wauquiez, presidente Républicain della regione Rhône-Alpes, ha l’intenzione di dotare tutti gli edifici scolastici di metal detector. A Nizza, sono stati stanziati sei milioni supplementari per le video-camere, i badge di ingresso e l’installazione di pulsanti di allarme collegati con la polizia, mentre il presidente della Regione, Christian Estrosi, ha pagato la consulenza di una società israeliana specializzata nella sicurezza.

La tensione sulla sicurezza non favorisce un miglioramento del clima nella scuola francese. Con Hollande, più di cinquantamila insegnanti sono stati assunti (Sarkozy aveva tagliato ottantamila posti), ma non si placano le critiche contro una riforma che vorrebbe introdurre maggiore interdisciplinarietà, varata in tutta fretta. La giovane ministra dell’Educazione nazionale, Najat Vallaud-Belkacem, è sotto attacco, persino per le sue origini (è nata in Marocco, arrivata in Francia a 4 anni, figlia di un operaio ha frequentato Sciences Po, vivaio di tutta l’élite politica): dalla critiche emerge soprattutto la paura del declino (timore della marginalizzazione di latino, greco e tedesco, evidenziatori tradizionali dell’«eccellenza»), misurato di fatto dalle inchieste Pisa, che rilevano la grande divergenza della scuola francese, tra l’ottima qualità delle classi frequentate dai figli della borghesia e le difficoltà delle Zep della banlieue, zone di educazione prioritaria che, malgrado maggiori finanziamenti, restano indietro.