Precettare il personale per impedire le chiusure di musei e siti archeologici, questa la risposta del ministro Dario Franceschini di fronte alla raffica di assemblee sindacali indette per 5 giorni a Pompei, Ercolano, Oplonti, Stabia e Boscoreale. Franceschini però non ha detto nulla circa il blocco del turn over, che ha prodotto a Pompei un meno 50% nel personale di vigilanza, né sui ritardi nel pagamento del salario accessorio, l’ultimo di cui i lavoratori hanno avuto traccia risale a novembre 2013.

Lunedì si è svolta la conferenza stampa per la riapertura del Teatro grande di Pompei, appena dissequestrato dalla magistratura, che ha rinviato a giudizio l’ex commissario straordinario Marcello Fiori e altri sei per il restauro che ha rovinato l’arena, i cui costi lievitarono da 450 mila euro a circa 8 milioni.

L’apertura al pubblico degli scavi anche ieri è slittata alle 10, il ministro allora ha replicato: «Mi pare indiscutibile che i musei e i siti archeologici siano servizi pubblici essenziali. Per questo mi sono attivato per modifica la normativa che aggiunga l’apertura dei luoghi della cultura all’elenco dei servizi pubblici essenziali. Una nuova norma che consenta di ricorrere, in casi eccezionali, alla precettazione del personale per scongiurare le chiusure e tutelare i diritti dei visitatori». Le agitazioni sono state sospese in attesa dell’incontro, venerdì, tra soprintendenza e sindacati. Il pomeriggio sarà a Pompei anche il ministro. Intanto, pioggia di critiche su Uil e Cisl (quest’ultima ha commissariato la propria struttura locale).

«Una dichiarazione liberticida – replica Claudio Meloni, coordinatore nazionale della Cgil Mibact – Il mio sindacato non ha aderito alla protesta nondimeno il diritto di assemblea è previsto dallo Statuto dei lavoratori, che ne regolamenta le forme. Non c’è stata nessuna interruzione di pubblico servizio, le dichiarazioni in piena libertà di Franceschini nascondono il fatto che non dà nessuna risposta su Pompei».

Le assemblee vertevano su due punti: la Soprintendenza ha varato un piano per ampliare l’offerta di domus da visitare accanto a giornate di aperture straordinarie, decise con sindacati e Mibact, il personale di vigilanza resta però sotto organico. A Pompei sono 120 divisi in 4 turni, età media 55 anni, dieci anni fa erano il doppio. Da dicembre non percepiscono il salario accessorio né le retribuzioni per attività in conto terzi (e altre sono all’orizzonte con gli spettacoli per la riapertura del Teatro grande).

«Franceschini ha promesso 30 custodi per un anno dislocati dall’Ales spa, società in house del ministero – spiega Gaetano Placido, segretario provinciale Cgil Funzione pubblica – ma il bando non è partito, più 50 tirocinanti dall’università con una convenzione semestrale. Tutte iniziative che non risolvono i problemi, fanno solo aumentare la precarietà nella pubblica amministrazione. Quanto poi ai pagamenti, sono bloccati all’ufficio centrale di bilancio e nessuno dice perché».

Il soprintendente Massimo Osanna aveva trovato le coperture finanziarie per l’ampliamento delle domus da visitare all’interno del proprio bilancio: «Il ministero ha negato l’autorizzazione per motivi burocratici, anche questo ha contribuito a far salire la tensione – prosegue Meloni – Il ministro Franceschini scarica tutti i problemi sui lavoratori ma non dice che la legge Valore cultura ha raddoppiato le strutture, complicando le procedure e rendendo impossibile spendere i 105 milioni del Grande progetto Pompei entro il 2015, salvo poi inserire norme nel decreto cultura di maggio che derogano al codice degli appalti, ad esempio per rendere più facile l’affido diretto o consentire alle ditte di presentare il certificato antimafia dopo l’assegnazione del lavoro».