«Ha superato Mandela!». Questo il provocatorio e improprio commento dei detenuti che, qualche settimana fa, nel polo universitario del carcere di Alessandria, hanno assistito alla discussione della quinta laurea di Francesco Lo Bianco. Il singolare primato, che, non senza una punta di paradossale e amaro orgoglio, rivendicano i suoi «colleghi» di cella, si riferisce agli anni che Lo Bianco ha scontato in carcere. Trentadue effettivi, che arrivano a essere quarantadue «legali» sommando benefici teorici che per Lo Bianco, nonostante la condotta impeccabile, non sembrano contare.

Anni di un conto destinato a non chiudersi. Francesco Lo Bianco è infatti un ergastolano. Calabrese, operaio dell’Ansaldo a Genova, appassionato di disegno e pittura, è stato brigatista rosso; partecipa a gruppi di fuoco e a rapimenti, fino a diventare, con Barbara Balzerani, capo-colonna a Genova. Non è semplice (e come potrebbe esserlo?) descrivere la sua attitudine verso la lotta armata e l’esperienza Br: né pentito né dissociato, Lo Bianco non può, a rigore, essere definito un irriducibile. L’implacabile lente hegelo-marxista con cui legge la storia gli restituisce inderogabili processi in luogo di scelte soggettive. Quando, negli anni che lo abbiamo frequentato, gli abbiamo chiesto perché, a differenza di altri ex Br, non avesse mai pensato di dedicarsi alla memorialistica, ha risposto questo: non è stata storia da potersi ridurre a biografia. Fu storia collettiva. Il che, così ci pare, non fa di lui un uomo che rivendica e che rimpiange. Tutt’altro: storicizzare la sua esperienza – fino a paragonare la sua attuale vicenda carceraria a una condizione di fossile – è l’atto politico con cui ha chiuso un’epoca e inaugurato un altro tempo.
Dal 1988 Lo Bianco studia; con rigore, esattezza e pazienza ha forgiato per se stesso una forma di vita puramente contemplativa. Torna a parlare col mondo attraverso il medio dei libri che divora. Così ha macinato i titoli di studio senza farsi macinare dagli anni di galera. Due lauree in lettere, poi quella in giurisprudenza.

Da ultimo arriviamo noi dell’International University College di Torino (Iuc), qualche giorno fa, a conferire a Lo Bianco il nostro Master in Comparative Law, Economics and Finance. Lo Bianco ha discusso una tesi monumentale sul concetto di sovranità e sulle sue vicissitudini in tempo di globalizzazione (e che diventerà presto un volume edito da manifestolibri). Lo Iuc è anche l’istituzione accademica di cui Lo Bianco avrebbe potuto (potrà?) essere il bibliotecario. L’inerzia e l’ottusità del sistema penitenziario non gli hanno mai permesso, in oltre trent’anni, di uscire dalle mura delle carceri che lo hanno ospitato. Gli sforzi dei molti accademici che lo hanno conosciuto, e degli infaticabili educatori che lo hanno seguito in questi anni, sono, con frustrante regolarità, caduti nel vuoto. Non c’è modo di far uscire Francesco dal carcere. Che si tratti di frequentare le lezioni di un dottorato o di partecipare alla presentazione del suo primo libro (Guerre, costituzioni e democrazie nel nuovo ordine globale. Fra monopolio della forza e dirittopubblicato per l’Harmattan nel 2007), per lui quelle porte sembrano destinate a rimanere chiuse. E l’ingiustizia rischia di trascolorare in fatalità (almeno è così che ci pare di poter interpretare il disincanto con cui Lo Bianco guarda ormai alla sua condizione).

Da un lato c’è l’immagine di uomo integro che coltiva gli studi con la stessa acribia con cui si dedica al giardino che rende meno grigia la fettuccia di asfalto su cui, lui e i suoi compagni, prendono l’«aria»; dall’altro c’è un sistema irrazionale che traduce, con testarda costanza, incapacità politica in ottusità amministrativa. Davvero si può credere che Lo Bianco – l’ultrasessantenne carismatico che da trent’anni è, alla lettera, consacrato alla ruminatio – rappresenti un «pericolo»?

Francesco Lo Bianco attende di essere restituito alla libertà che non smette di sperimentare nell’atto sovrano di leggere, studiare e argomentare. Ma noi non lo aspettiamo alla prossima laurea. Lo aspettiamo fuori dal carcere.