Jean-Luc Mélénchon descrive così la situazione: i politici francesi hanno «il codice genetico di uno scimpanzé». Il leader della France Insoumise si riferisce al machismo diffuso nella classe politica, più forte a destra, dove come sottolinea Marielle de Sarnez (MoDem) «il mito del capo è ancora molto presente», mentre la presidente della regione Ile de France, Valérie Pécresse, racconta che la tendenza è di «non mettere una donna in testa di lista, perché a destra le donne non votano per le donne». Ma anche la sinistra non scherza.

Dal 2003 c’è una legge sulla parità nelle liste elettorali, ma la situazione non è cambiata molto. I Républicains, per esempio, preferiscono ancora adesso pagare una multa salata (4,3 milioni di euro l’anno) piuttosto che rispettarla. Il Partito socialista la rispetta sulla carta, ma tende a piazzare le donne in circoscrizioni difficili da conquistare. Il risultato è che la Francia è al 63esimo posto mondiale per numero di donne in parlamento, con il 27% all’Assemblée nationale, il 25% al Senato e il 16% di sindache. L’ex ministra socialista Aurélie Filippetti descrive «un ambiente politico molto machista e fallocratico».

La Francia è anche la patria di Dominique Strauss-Kahn, che non ha agito solo al Sofitel di New York. Dsk non è il solo protagonista di episodi di aggressione: ultimamente c’è stato Denis Baupin, ecologista, che ha dovuto dimettersi da vice-presidente dell’Assemblée, accusato da varie collaboratrici di gesti e parole inopportune. Prima c’era stato il caso di Georges Tron (sindaco Républicain, accusato di stupro), dell’ex ministro Eric Raoult (destra), di Patrick Balcany (destra) e di Michel Sapin, ministro delle Finanze, che «per scherzare» avrebbe tirato l’elastico delle mutande di una giornalista, che si era chinata per raccogliere una biro. Nel maggio scorso, 17 ministre ed ex ministre hanno firmato un appello contro il sessismo: «Non staremo più zitte».

Pubblicate in libri o riferite in conversazioni, le affermazioni sessiste che hanno subito le donne in politica sono innumerevoli. C’è una tradizione storica: nel ’67 il generale De Gaulle aveva risposto a chi gli proponeva di istituire un ministero alla Condizione femminile: «e perché no un sottosegretario alla maglia?»; Valéry Giscard d’Estaing racconta in un libro di ricordi l’idea che si era fatto di Aline Saunier-Saïté, che aveva appena nominato ministra delle Università: «Il suo corpo è muscoloso, con movimenti di agilità felina e le gambe mi sembrano abbronzate. Una strana idea mi attraversa il pensiero: quando fa l’amore deve metterci un’eguale veemenza». Alain Juppé quando era primo ministro aveva nominato alcune donne ministro, subito battezzate juppettes (juppe vuol dire gonna). Non molto è cambiato da allora, ma oggi molti scarti vengono resi pubblici.

Nel 2007 Ségolène Royal era candidata Ps all’Eliseo. L’ex primo ministro Laurent Fabius, che avrebbe voluto essere al suo posto, disse: «Chi si occuperà dei bambini?» (visto che il padre, François Hollande, era occupato nella campagna come segretario del Ps). Molte volte «Ségoléne» (le donne vengono spesso chiamate con il solo nome) ha sentito un coro mentre parlava: «Ségo nuda!». L’intervento di una deputata socialista è stato di recente accolto all’Assemblée con un coro con di «coccodé» da parte di esponenti di destra. La verde Cécile Duflot, quando era ministra della Casa, ha suscitato fischi in parlamento perché si era presentata con un vestito estivo a fiori blu. Nathalie Kosciusko-Morizet, che era candidata alle primarie della destra, ha raccontato che François Fillon nel 2007 le aveva detto: «Sei incinta, quindi non sarai ministra». Duflot ricorda un suggerimento: «Non parlare, così possono credere che sei intelligente».