Anche Bruxelles, oltre l’Italia del nord, è andata in fibrillazione dopo che la maggioranza relativa dei cittadini del Canton Ticino ha promosso domenica l’iniziativa referendaria dell’ultradestra «Prima i nostri!».

Un voto, espresso a conti fatti da circa il 29% della popolazione della regione italianofona, che pur imponendo la modifica della Costituzione cantonale per mettere un limite all’utilizzo dei lavoratori non residenti, «non avrà conseguenze immediate» – almeno così assicura il ministro degli esteri svizzero Didier Burkhalter – sugli oltre 63 mila frontalieri che ogni giorno soprattutto dalla Lombardia, dal Piemonte e dal Trentino varcano il confine con la Svizzera. In una telefonata con Paolo Gentiloni, Burkhalter ha spiegato al titolare della Farnesina che la normativa sui lavoratori stranieri è attualmente all’esame del Parlamento nazionale.

Eppure l’esito del referendum, che evidenzia l’escalation dei nazionalisti dell’Udc e della Lega dei Ticinesi, trionfanti nelle elezioni nazionali di un anno fa, impone alla Confederazione di modificare la Costituzione e di accelerare la difficile trattativa con l’Unione europea aperta già dopo il referendum del 2014 per rinegoziare gli accordi sulla libera circolazione.

Durante il colloquio telefonico tra i due ministri – chiarisce una nota comparsa su esteri.it – «Gentiloni ha ribadito che ogni discriminazione nei confronti dei nostri frontalieri sarebbe un impedimento all’intesa tra Ue e Svizzera. L’Italia – si legge ancora sul sito della Farnesina – è impegnata a favorire tale intesa che deve essere basata sui comuni interessi economici e sul comune riconoscimento del principio della libera circolazione delle persone».

I negoziati con Bruxelles sulla modifica degli accordi, infatti, sono in panne già da tempo, rallentati da una serie di programmi economici, la cui violazione potrebbe mettere a rischio i rapporti stessi tra il paese elvetico e l’Europa, e che cozzano con le quote imposte all’immigrazione dai due referendum promossi sempre dall’Udc (nel 2012, per limitare l’ingresso di lavoratori provenienti dall’est europeo e nel 2014 per estendere il tetto anche ai paesi dell’Europa occidentale). Gli incontri tra Jean Claude Juncker ed il presidente svizzero Johann Schneider-Amman dovrebbero riprendere a fine ottobre.

Ma il sì dei ticinesi al quesito che chiede se sul mercato del lavoro si vuole che «venga privilegiato, a pari qualifiche professionali, chi vive sul territorio», apre ora una trattativa anche tra il Cantone e il consiglio federale e il parlamento, che devono dare il via libera alla modifica costituzionale. La Commissione europea spera in un rallentamento dell’iter: «Ci sembra di capire che l’esito del referendum richieda ancora l’approvazione da parte del governo federale», ha detto la sua portavoce Margaritis Schinas.

Da registrare, in ogni caso, un calo netto di affluenza, se si paragona il referendum di domenica scorsa (il 44,9% dei ticinesi si è recato alle urne) con quello del febbraio 2014 (quasi il 70%, nel cantone), che secondo alcuni analisti potrebbe dipendere dalla delusione dei cittadini di non aver visto applicata la volontà popolare.

Naturalmente Matteo Salvini gioisce davanti alla preferenza nazionale dei ticinesi ma tenta di tenere insieme capra e cavoli: «Secondo me non si perderà un posto di lavoro perché i nostri frontalieri sono migranti qualificati, cioè non vanno là a due ore e mezzo l’ora ad arrabattarsi».

Il Coordinamento Frontalieri Cisl attacca invece il «dumping salariale» sul quale i cittadini ticinesi si sono pure espressi domenica in un secondo quesito referendario, ma hanno preferito alla proposta che ne imponeva il blocco una meno onerosa che lo attutisce appena. Mirko Dolzarelli, presidente del coordinamento spiega che il dumping «non è generato da chi accetta offerte di lavoro con stipendi al di sotto della decenza, bensì da un mercato del lavoro ancora poco coperto dalla contrattazione collettiva e aziendale».