Sono maturi i tempi per la costruzione di una coalizione politica nuova, capace di portare anche in Italia la spinta di democrazia, partecipazione e cambiamento sperimentata in Grecia con Syriza, in Spagna con Podemos, in Turchia con l’HDP.

La crisi economica non si attenua (oltre 3 milioni di disoccupati, 6 milioni di poveri, un milione di cassintegrati), le disuguaglianze sono drammatiche, le «guerre tra poveri» – oggi contro gli eritrei che chiedono asilo in Europa – si moltiplicano. Come risponde la politica? Con l’irreversibile scivolamento a destra del Pd, con la deriva razzista della Lega, con la retorica populista dei Cinque stelle, incapaci di capire quando ci sono opportunità di cambiamento, come nel caso del ballottaggio tra Casson e Brugnaro a Venezia.

E così cresce un pericoloso astensionismo, si svuota la partecipazione, aumentano le solitudini e le paure, si snatura la democrazia rappresentativa, sempre più prigioniera di oligarchie e comitati elettorali: una democrazia senza popolo.

In Grecia governa Syryza, a Madrid e Barcellona governa Podemos; in Italia lo spazio politico dell’alternativa è prigioniero dell’attendismo, del politicismo autolesionista, delle competizioni per la leadership.

È partita invece, in Italia, la Coalizione Sociale, un’aggregazione importante delle organizzazioni sociali e sindacali che sono in prima fila per difendere i diritti e la democrazia sul lavoro e nella società. È un contributo importante anche per ricostruire lo spazio di una sinistra che o è sociale o non è. Un’esperienza, che deve mantenere la sua autonomia sociale e che sfida il movimento sindacale – a partire dalla Cgil.

Accanto alla Coalizione Sociale c’è l’esigenza di una rappresentanza politica, di una coalizione politica – in una nostra proposta di qualche mese fa l’avevamo chiamata «Fronte pop» – che dia rappresentanza alla domanda di cambiamento, partecipazione e soggettività che emerge dalla pratiche sociali nei territori e che è ormai forte nel paese.

Non solo è possibile, ma si deve fare. Evitando rendite di posizione, ostracismi, chiusure identitarie, ossessioni per chi avrà la leadership o per proporsi in scaletta per il prossimo talk show.

Non si può restare fermi come in questi anni. Servono passi avanti: verso uno spazio politico dove tutti contino nello stesso modo – una testa, un voto – e dove siano determinanti i contenuti e le forme di partecipazione e di organizzazione stabile.

Una testa, un voto. Si tratta di evitare le rendite di posizione e il monopolio organizzativo dei soggetti esistenti, mettendo al centro la democrazia partecipata, il coinvolgimento di tutti, un dibattito politico trasparente.
Le forze esistenti non sono da rottamare, ma con un gesto di generosità, già annunciato da quasi tutti, possono fare un passo indietro ed essere un elemento importante per dare gambe a questo processo – che non può essere solo il risultato dell’accordo di leader.

Al centro devono esserci le persone, le forme nuove e partecipate di una politica diffusa e plurale di movimenti, associazioni, campagne, le esperienze elettorali di liste unitarie sperimentate in alcune elezioni locali. E dobbiamo coinvolgere molte forze che sono ancora in attesa: pensiamo a una parte importante del mondo cattolico, a quello delle pratiche sociali e del volontariato, all’arcipelago verde e ambientalista, ai movimenti pacifisti.

I contenuti. L’opposizione al Jobs Act, alla buona scuola, alla legge elettorale è un naturale punto di partenza.

Per mobilitare le energie di tutti, per costuire un progetto alternativo, se opportuno anche con una campagna referendaria – a patto che questa parta dai soggetti (studenti, insegnanti, sindacato, ecc.) che ne incarnano i temi e le battaglie e non da operazioni dall’alto dentro lo schieramento politico. E poi c’è la fine dell’austerità, una politica per offrire a tutti un lavoro e per garantire a tutti un reddito minimo, un’Europa diversa che sostenga il cambiamento chiesto dalla Grecia, anziché spingerla ai margini dall’Unione, una politica che prenda davvero sul serio – come ci avverte ora l’enciclica di Papa Francesco – l’impegno per evitare il cambiamento climatico, una politica di pace che risolva i conflitti, apra possibilità di sviluppo in Africa e Medio Oriente, evitando il dramma dei rifugiati e dei migranti.

Le forme. Tra il populismo grillino e le derive della politica (incluse quelle delinquenziali e affaristiche) che la cronaca giudiziaria ci presenta ogni giorno c’è una alternativa di pratiche concrete: potremmo introdurre l’incompatibilità tra cariche di partito e cariche elettive nelle istituzioni; il limite dei due mandati elettorali; una legge sui partiti in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione; nuovi spazi -anche normativi- di democrazia diretta e partecipata (referendum, proposte di legge di iniziativa popolare, petizioni).

Ma ci serve, ora, soprattutto un’organizzazione: aperta, inclusiva, capace di costruire identità collettive, impegno continuativo, presenza sociale e proposte politiche.

È necessario dare un contributo a questo processo, a partire dai contenuti, dalle idee, dal confronto. Un contributo ad una discussione collettiva che serva a fare un passo in avanti, rapidamente, nella costruzione di un soggetto politico del cambiamento, del lavoro, dei diritti, ambientalista e pacifista.

È ora, facciamolo!