Non solo Idomeni. Con lo sgombero degli ultimi tre siti informali al confine con la Macedonia, da ieri il governo greco ha posto per sempre la parola fine alla presenza e alla speranza dei migranti e dei rifugiati rimasti accampati finora nella regione di Kilkis nella Grecia settentrionale. Tra ieri e l’altro ieri nuove operazioni di polizia hanno interessato le persone che ancora si trovavano a Eko Station, vicino Policastro, e tra Hotel Hara e la stazione di servizio BD, sempre lungo l’autostrada per Evzoni. Identiche le procedure adottate per sgomberare Idomeni lo scorso 24 maggio: arrivo di buon ora di un ingente dispiegamento di forze di polizia in tenuta anti-sommossa, colonna di pullman al seguito per il trasferimento dei profughi, allontanamento forzato di volontari, Ong e attivisti, divieto assoluto di avvicinarsi ai giornalisti. Misure di sicurezza decisamente sproporzionate e in contrasto con la linea morbida con cui, stando a quanto riferito dalle autorità greche, si sono svolte le evacuazioni. Un modus operandi, semmai, più simile a un atto di censura, che la dice lunga sia sulle politiche di accoglienza decise in sede comunitaria sia sulla strategia mediatica messa in campo dal governo di Alexis Tsipras. Nessuna dichiarazione ufficiale è stata rilasciata a operazioni ultimate; se a questo aggiungiamo che l’ingresso nei campi istituzionali è permesso solo alle Ong accreditate presso il ministero dell’Interno, di fatto sul destino delle oltre 50mila persone ancora bloccate in Grecia è già calato il silenzio.

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Dall’alba al pomeriggio di lunedì, circa 31 autobus hanno condotto 1.158 rifugiati, di cui 58 di nazionalità irachena e il resto siriana, da Eko camp fino al nuovo sito governativo di Vassilika, nella zona industriale di Thermi ad est di Salonicco. «La polizia è arrivata intimando a tutti noi di uscire» spiega Quentin, volontario francese del collettivo di Eko Kitchen, che negli ultimi tre mesi ha distribuito tra i 1.000 e i 1.500 pasti al giorno. «Li ho convinti a farmi restare per controllare la nostra attrezzatura, altri solidali sono stati invece fermati e portati nel vicino posto di polizia a Policastro. Lo sgombero si è svolto in maniera pacifica. Alcuni hanno lasciato Eko nella speranza che questo trasferimento significasse la fine del loro calvario e l’inizio delle procedure per la pre-registrazione, ma appena arrivati a Vassilika ci hanno informato al telefono delle pessime condizioni del campo».

«Dopo lo sgombero di Idomeni, tutti gli insediamenti più piccoli qui intorno si sono riempiti di gente che non voleva essere spedita nei siti ufficiali» aggiunge Tommaso di Over the Fortress, la carovana di attivisti italiani che dallo scorso febbraio fa la spola con la Grecia settentrionale. «Oltre a Eko camp, anche a Hotel Hara e nella foresta limitrofa il numero di profughi era cresciuto visibilmente. Gruppi di persone e famiglie intere con anziani e bambini al seguito hanno perseguito il loro scopo di varcare il confine illegalmente, sia rivolgendosi ai trafficanti sia a piedi da soli, con il rischio altissimo di finire spesso nelle mani sbagliate. Altri addirittura hanno chiesto il rimpatrio volontario in Iraq oppure hanno scelto di rientrare in Siria, affidandosi ancora una volta ai trafficanti perché, paradossalmente, al momento bisogna pagare persino per tornare in Turchia».

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Dopo Eko, stessa sorte è toccata ieri a chi era ancora accampato a Hotel Hara e alla stazione di BD. A fronte di un numero inferiore di presenze, le operazioni si sono concluse nel primo pomeriggio, con buona pace degli automobilisti costretti a percorsi alternativi a causa del blocco della statale posto già venti chilometri prima della zona interessata. In tutto 630 persone sono state tradotte nei campi di Ikordelio e Vaiochori, allestiti intorno a Salonicco per lo sgombero di Idomeni, altre persino a Inofita nella Grecia meridionale. Per tutta la mattina intanto è proseguito il via vai di gente che da Kavala si è riversata con trolley e passeggini a Eko station in cerca di materiali utili a una migliore sistemazione nel vicino campo istituzionale dove, dicono, «ci manca tutto». Stesso traffico di persone interessa ogni giorno la stazione ferroviaria di Salonicco. «Da lunedì sono arrivate molte più persone» racconta Giorgos, proprietario del souvlazidiko nella piazza antistante, diventato il riparo di chi è in transito da e verso la città.
A parte gli attivisti del centro sociale Steki Metanaston e l’ong italiana Intersos, che rispettivamente provvedono alla distribuzione quotidiana di pasti e al servizio medico mobile, di aiuti da queste parti non se ne vedono molti, così Giorgos e la sua famiglia hanno aperto le porte del loro esercizio mettendo a disposizione un bocchettone esterno per l’acqua fino alla sistemazione nella propria casa. «La notte lascio aperta l’area esterna, accatastano tavoli e sedie per dormire poi la mattina trovo già tutto pulito».

Seppur con estrema lentezza, qualcosa comincia a muoversi anche sul fronte istituzionale. E’ finalmente partito infatti il nuovo programma di pre-registrazione implementato dal governo greco, coordinato da Unhcr e appoggiato dall’Ufficio europeo di supporto per l’Asilo (Easo) per altri 25milioni di euro. Il piano riguarda chi è entrato in Grecia dal 1 gennaio 2015 al 20 marzo 2016 – ossia prima dell’entrata in vigore dell’accordo con la Turchia -, va ad affiancare la complicata procedura via Skype e rimane condizione necessaria per le ricollocazioni e i ricongiungimenti familiari, fermo restando l’ingresso nei campi governativi. L’annuncio ufficiale dava il 6 giugno quale data d’inizio attraverso 6 hub dislocati in tutta la Grecia; di fatto il piano è slittato a due giorni dopo e con un terzo dei centri attivi. Si andrà avanti fino a fine luglio, dopodiché si procederà con le interviste e l’esame individuale delle domande. Ci vorranno dunque ancora diversi mesi prima di giungere a una conclusione, con il rischio di esasperare un clima di per sé già drammatico.