I sette condannati a morte, tutti accusati di collaborazionismo con Israele, sono incappucciati, per non essere riconoscibili, e con le mani legate. Si sono inginocchiati su ordine della sicurezza di Hamas, con le spalle al muro. Il plotone d’esecuzione pochi attimi dopo ha aperto il fuoco. I colpiti cadono come sacchi vuoti. I loro corpi sono portati via in fretta, all’ospedale Shifa, e la loro identità è tenuta segreta. E’ vietato divulgare i loro nomi per «preservare il tessuto sociale», affinché «i loro misfatti non abbiano ripercussioni sulle loro famiglie». Tutto si svolge davanti alla folla di fedeli usciti della moschea al Omari al termine della preghiere. E’ evidente l’approvazione di gran parte dei presenti. La giustizia sommaria non turba Gaza dall’8 luglio sotto un pesante attacco militare israeliano. «E’ giusto punire con severità chi tradisce il proprio popolo e fa uccidere i muqawimin (resistenti), per loro non deve esserci alcuna pietà. Contribuiscono ad ucciderci, fanno del male a Gaza», spiega un uomo sulla quarantina, molti annuiscono. Si sentono in lontananza i boati delle esplosioni delle bombe sganciate dall’aviazione israeliana.

Ieri bombe e missili hanno ucciso almeno nove palestinesi e distrutto una decina di case. A Gaza in serata un po’ tutti si aspettavano un massiccio bombardamento notturno dopo l’uccisione a Shar HaNeghev, causata da un mortaio palestinese, di bambino di quattro anni. Secondo la ricostruzione fatta dalla televisione israeliana, al suono di sirene di allarme, un padre ha afferrato la figlia più piccola e l’ha portata al sicuro. Ha provato a prendere anche il secondo figlio ma compiuti pochi passi è esploso un colpo di mortaio e una scheggia ha raggiunto il bambino ferendolo mortalmente. «Hamas pagherà un duro prezzo per questo grave atto di terrorismo. L’esercito israeliano e i nostri servizi di sicurezza rafforzeranno ulteriormente le attività contro le organizzazioni terroristiche di Gaza» ha avvertito subito dopo il premier Benyamin Netanyahu. In due giorni 19 (presunte) spie di Israele – tra le quali due donne – sono state fucilate a Gaza city. Si chiama “Operazione Strangolamento”. E’ stata avviata da Hamas per colpire, così spiegano i servizi di sicurezza locali, i collaborazionisti dopo gli attacchi israeliani che nei giorni scorsi hanno ucciso a Rafah tre importanti comandanti militari del movimento islamico e, forse, a Gaza city anche Mohammed Deif, il “capo di stato maggiore”. Di lui non si sa nulla. Hamas smentisce la morte. Israele sostiene che si trovava nel palazzo centrato della bomba sganciata da un F-16 che ha ucciso la moglie Widad e due dei suoi figli piccoli (un bambino, Ali, e una bimba, Sara). Hamas che in queste settimane ha mostrato forza militare ed efficienza oltre ogni aspettativa, si è però scoperto vulnerabile alle attività dell’intelligence israeliana e dei collaborazionisti che sono riusciti a passare informazioni precise sugli spostamenti dei comandanti militari del movimento islamico, nonostante le strette misure di sicurezza adottate a Gaza. E girano insistenti le voci che una o più talpe si trovino proprio all’interno di Hamas. D’altronde non si conosce l’identità dei 19 giustiziati e non si può escludere che tra di essi ci siano anche membri del movimento islamico

Hamas ha scelto la strada del pugno di ferro. E’ stata istituita una Corte marziale che giudica i sospetti ed emette le sentenze. I processi si tengono in luoghi segreti. Nessuno sa se agli imputati venga garantito il diritto a una vera difesa, nessuno ha la possibilità di verificare la concretezza delle prove raccolte nei loro confronti. Fonti della sicurezza di Gaza, citate dai siti, hanno avvertito che «in tempo di guerra non si può garantire clemenza ai traditori» e che adesso si rende necessario rafforzare le difese contro gli informatori di Israele che potrebbero essere ancora attivi a Gaza. Collaborare con chi uccide la tua gente, tra cui donne e bambini, è di eccezionale gravità. Ma le spie possono essere condannate, al termine di processi regolari, a lunghe pene detentive, all’ergastolo, nessuna punizione è più grave del carcere. Privare un uomo o una donna della libertà è la condanna più severa che possa subire un essere umano, persino più della morte. Lo sanno bene proprio i palestinesi di Gaza tenuti prigionieri nella loro terra dall’assedio praticato da Israele e dall’Egitto. Duro perciò è stato il comunicato del “Centro Palestinese per i Diritti Umani” di Gaza che ha condannato queste “esecuzioni extragiudiziarie” e ha chiesto a tutti i gruppi della resistenza palestinese di fermarle, di non praticarle più, nonostante l’eccezionalità del momento e le difficili condizioni imposte dall’offensiva militare israeliana. Raja Sourani, il direttore del centro, ha inviato una lettera ai tutti leader politici palestinesi per chiedere un intervento a sostegno della sospensione delle esecuzioni sommarie dei collaborazionisti.

Hamas però nega che stia tenendo processi irregolari ed esecuzioni sommarie. A Gaza, spiegano i responsabili del movimento islamico, i servizi di sicurezza dispongono di una rete di squadre di pronto intervento in grado di raggiungere in tempo reale i luoghi dove avvengono attentati alla vita di esponenti di primo piano della politica e dell’ala militare del movimento islamico. I presenti sul luogo dei bombardamenti sono subito registrati e schedati. Chi fra questi desta sospetti viene deferito alla Corte marziale dove si trovano esperti di questioni militari e anche del sistema giudiziario. L’analisi del comportamento del sospetto avviene sulla base di quella che viene definita ”una legge rivoluzionaria”, una legge di tempo di guerra. In ogni caso questi metodi trovano largo consenso tra la gran parte degli abitanti di Gaza, che si dicono minacciati dai collaborazionisti e approvano il punto di ferro contro di loro.