Tra le decine di capi di stato e di governo, Matteo Renzi incluso, che oggi parteciperanno al Monte Herzl di Gerusalemme ai funerali di Stato per l’ex presidente israeliano Shimon Peres, non ci saranno re Abdallah di Giordania ed il rais egiziano Abdel Fattah al Sisi. Nonostante siano legati a Israele da una stretta cooperazione di sicurezza e siano partner dello Stato ebraico in vari disegni strategici regionali, il monarca hashemita e il presidente egiziano si terranno a distanza da Gerusalemme. Una rinuncia per certi versi clamorosa che lascia al presidente palestinese Abu Mazen il ruolo di unico dei tre leader arabi che riconoscono Israele a partecipare ai riti funebri per Peres. Tra i Paesi arabi che non hanno rapporti ufficiali con Israele si segnala il Bahrain che ha inviato un messaggio di condoglianze. Nel caso di re Abdallah il passo indietro è ancora più significativo se si considera che suo padre, re Hussein, lavorò lungamente – alla luce del sole e dietro le quinte – con Peres, uno degli architetti del trattato di pace tra Israele e Giordania oltre che degli Accordi di Oslo del 1993.

Abdallah, che oggi sarà rappresentato dal vice primo ministro per gli affari economici Jawad al Anani, ha scritto una lettera che, elogiando Peres, critica indirettamente il premier israeliano Netanyahu e la sua politica di occupazione e colonizzazione dei territori dove dovrebbe sorgere lo Stato palestinese. «Gli sforzi di Shimon Peres – ha scritto Abdallah – nel processo di pace israelo-palestinese e il suo sostegno alla soluzione a Due Stati devono essere sostenuti dai leader israeliani e da tutti gli statisti in questo conflitto… È vitale – ha aggiunto – che le voci della ragione prevalgano e che i sostenitori della pace continuino a guidare la strada». Parole che riflettono la frustrazione di re Abdallah per l’assenza di qualsiasi prospettiva di rilancio del negoziato tra israeliani e palestinesi, a causa della linea ultranazionalista del governo Netanyahu, a danno anche della stabilità della Giordania. Lo stesso vale per l’egiziano al Sisi che a Gerusalemme ha inviato il ministro degli esteri Sameh Shoukry (già in Israele nei mesi scorsi).

«I motivi di queste assenze sono due: Netanyahu e il clima nella regione» ci spiega Oraib al Rantawi, analista dell’al Quds Center for Strategic Studies di Amman ed editorialista del quotidiano al Dostour «se da un lato Giordania ed Egitto mantengono rapporti di sicurezza ben saldi con Israele, dall’altro re Abdallah e il presidente al Sisi non partecipando ai funerali di Peres esprimono la loro insoddisfazione per la politica del governo israeliano e di Netanyahu». A ciò, prosegue al Rantawi, «si aggiunge il clima di tensione in un Medio Oriente profondamente diviso, dove gli scambi di accuse tra i vari leader e tra i leader e le opposizioni interne, specie quelle islamiste, si sono fatti più intensi. E (Abdallah e al Sisi) non vogliono finire sotto attacco per aver scelto di andare in Israele». Peres, conclude l’analista giordano, era un paladino della pace per americani ed europei ma in Medio Oriente era visto con profonda diffidenza e considerato parte dell’establishment di Israele oltre ad aver lasciato dietro di sé un’eredità a dir poco complicata».

Concorda l’analista palestinese Ghassan al Khatib. «Peres ha dato un contributo significativo all’ingiustizia storica che si è abbattuta sul nostro popolo», dice Khatib, aggiungendo che gli Accordi di Oslo del 1993 sono considerati disastrosi dai palestinesi. Il giudizio negativo di Peres, condiviso da quasi tutti i palestinesi, non ha impedito al presidente dell’Anp Abu Mazen di prendere parte ai funerali dell’ex presidente israeliano. È la prima visita ufficiale di Abu Mazen a Gerusalemme dal settembre del 2010.