Fuori i carcerati, dentro i golpisti. L’ultima mossa del governo dell’Akp viene camuffata dal ministro dell Giustizia Bekir Bozdag come risposta all’allarme per il sovraffolamento nelle carceri turche, che stanno letteralmente scoppiando. Ieri è stato varato un decreto che spianerà la strada alla liberazione condizionale di 38mila prigionieri dei 214mila tuttora detenuti.

Si tratta, a detta del ministro, di una misura necessaria per ridurre la popolazione carceraria e per fare spazio alle 35mila persone che sono state arrestate perché accusate di appartenenza all’organizzazione di Gülen.

Il ministro ha precisato che non si tratta né di una grazia né di un’amnistia, ma di una liberazione condizionale: saranno rilasciati i detenuti con buona condotta e quelli con meno di due anni di pena da scontare. Non solo: a chi ha scontato metà della pena sarà possibile chiedere la grazia. Esclusi i detenuti per crimini di omicidio, violenza domestica, abusi sessuali e terrorismo.

Siamo soltanto all’inizio di quella che è senza dubbio la più imponente epurazione di massa mai avvenuta in Europa dalla dissoluzione dell’ex Unione sovietica. All’indomani del tentativo fallito di golpe, la notte del 15 luglio scorso, il presidente Erdogan ha lanciato una campagna epurativa senza precedenti che prosegue senza sosta: decine di migliaia di soldati, poliziotti, magistrati, giornalisti, dipendenti pubblici arrestati per cui va fatto posto.

Poco dopo il putsch, il governo aveva annunciato la costruzione di carceri ad hoc, maxi prigione dove infilare i «traditori». Nel frattempo, andranno a sostituire criminali incarcerati. Tra gli ultimi arrestati ci sono 50 imprenditori, considerati vicini all’imam Gülen, capro espiatorio del tentato golpe per il quale due giorni fa un procuratore turco ha chiesto due ergastoli e 1.900 anni di galera.

Prosegue spedito anche l’attacco ai media in questi giorni di stato emergenza. Martedì scorso con un’ordinanza del tribunale di Istanbul è stato chiuso lo storico quotidiano vicino al movimento curdo, Özgür Gündem, per propaganda in favore di organizzazione terroristica: è accusato di sostenere il Partito dei lavori del Kurdistan, PKK. La vita di questo quotidiano è emblematica della censura a cui è stato sottoposta la Turchia nel corso di quest’ultimi anni: Özgür Gündem è alfiere della battaglia per il diritto all’informazione e per la libertà di stampa.

Sulle sue colonne hanno scritto firme prestigiose dell’Intellighentia turca. Da quando è stato fondato, il 14 maggio del 1992, è stato oggetto di continue violazioni della libertà di stampa da parte di tutti i governi turchi che si sono susseguiti fino ad oggi, perché critico delle politiche di Ankara nei confronti della comunità kurda. Dal 1994 è stato chiuso più volte.

Una lunga scia di sangue ha inoltre accompagnato la sua esistenza: 27 membri della sua redazione, tra cui giornalisti, distributori e scrittori, sono stati uccisi nel corso dei primi due anni dalla sua pubblicazione. Delle 580 edizioni pubblicate finora dal quotidiano, 486 sono state sottoposte a sequestrato per ordine della magistratura.

I redattori sono continuamente perseguitati per i loro reportage e nei loro confronti sono state intentate centinaia di cause legali. Il 4 aprile 2011, dopo una pausa forzata durata 17 anni, Özgür Gündem aveva ripreso le pubblicazioni.

Ma è la stampa in genere ad essere nel mirino: Selina Dogan, deputata armena del Parlamento di Turchia, eletta tra le file del maggior partito di opposizione Chp, ha denunciato ieri che è in corso la cancellazione di massa di un altissimo numero di passaporti di giornalisti turchi. Si teme la fuga di molti essi.

E la mannaia torna anche sulla scuola, già vittima di epurazioni: lunedì il Ministero dell’Istruzione ha chiesto a tutti gli istituti scolastici del paese di raccogliere e distruggere tutti i libri pubblicati dal movimento di Fethullah Gülen, compresi documenti, cd e dvd e ogni materiale elettronico. Nel contempo 29 case editrici, 15 riviste e 45 quotidiani legati alla organizzazione di Gülen sono state chiuse.

Tali misure censorie sono consentite grazie ad un decreto legge varato sotto lo stato di emergenza proclamato il 21 luglio scorso a seguito del tentato colpo di stato. E ancora, l’Università Kultur di Istanbul ha distribuito ai suoi professori un documento da firmare in cui si dichiara di non avere legami con Gülen o con la sua ideologia.