Quest’estate la tradizionale stagione dei fuochi boschivi in California ha preso un avvio particolarmente virulento con una ventina di roghi attualmente attivi nello stato, dozzine di abitazioni distrutte e decine di migliaia di evacuati. Una violenza da ricondurre certamente alla siccità che attanaglia lo stato.

Dopo quattro anni di arsura, a febbraio il governatore Brown ha infine formalizzato l’emergenza chiedendo alle agenzie delle acque di implementare razionamenti e tariffari maggiorati per tentare di conservare le riserve ormai estenuate dello stato con l’obbiettivo di una riduzioni dei consumi fino al 30%.

Scorrettezze idriche

Così da alcuni mesi a Santa Barbara, San Diego, Los Angeles e le altre città della California è consentito innaffiare i giardini solo tre volte a settimana.

I conti dell’acqua contengono pamphlet che invitano a limitare la durata delle docce a non più di quattro minuti e le piscine da ostentati status symbol stanno diventando simboli di «scorrettezza idrica». Il celebrato «laboratorio California» sperimenta attualmente una emergenza dell’acqua che demografi e climatologi prevedono essere destinata a diventare solo più diffusa col progredire della pressione antropica e degli scompensi ecologici.

Mentre nelle città i sintomi della siccità sono giardini ingialliti e auto più sporche (è vietato lavare i veicoli con la pompa dell’acqua) altrove la crisi è ben più drammatica. Soprattutto nella Central Valley, la grande pianura che parte dall’entroterra di San Francisco e finisce 500 km più a sud a lambire le colline a nord di LA.

Entrare nella Valley da sud vuol dire scavalcare i monti San Gabriel; dopo il passo Grapevine la strada si inclina ripidamente verso il basso. Dopo l’ultimo tornante l’orizzonte si apre d’improvviso sulla pianura sterminata, una piattezza che si perde in lontananza, dietro una coltre bruno-grigia: l’aria densa di polveri sottili e scarichi agricoli che sono il prodotto atmosferico di questa industria agricola che è la prima consumatrice di pesticidi e fertilizzanti nel paese. Con la piattezza arriva una ventata di caldo; l’aria è rovente, quasi sempre da marzo a novembre e la terra come compattata dal sole che vi batte impietoso.

Questo è il vantato «paniere californiano», ma il colore naturale della sterpaglia che spunta qui dalla terra cotta dal sole è il giallo paglia.

Il suolo è sì fertile, per via dei sedimenti di antichi mari, ma solo con l’aggiunta di acqua è stato in grado di produrre l’impressionante cornucopia di frutte e verdure che fanno dell’agricoltura californiana la più esportata d’America. L’agribusiness qui è il prodotto di una straordinaria opera di bonifica e irrigazione e dello sfruttamento intensivo di risorse naturali e umane: la mano d’opera quasi interamente ispanica importata da Messico e Centro America. I braceros ricurvi nei filari dei campi occupano da sempre il rango più basso del proletariato agricolo sopportando durissimi carichi di lavoro in condizioni infime e senza tutele.

I braceros rimossi

E oggi sono queste popolazioni «rimosse» dal benessere californiano le più esposte agli effetti della grande siccità. Da un lato la scarsezza di acqua ha provocato la crisi del settore da cui dipendono con la perdita di 17.000 posti di lavoro nel 2014 e altrettanti previsti nel 2015. E in alcune comunità contadine ora l’acqua è finita del tutto.

Porterville è una cittadina come tante altre qui nella Valley, abbarbicata alla interstate 99, la principale arteria che la attraversa la pianura da nord a sud. Si trova poco lontano da Delano, teatro delle grandi lotte campesine degli anni 60 e 70 quando Cesar Chavez indisse una serie di scioperi e boicottaggi di grandi aziende agricole che produssero le prime conquiste sindacali dei braccianti messicani uniti nella Ufw (Farm Workers Union). All’epoca per portare solidarietà agli scioperanti di Chavez venne pure Robert Kennedy.

Oggi la Valley «post-crisi» è come molti altri luoghi una valle di lacrime dove le conquiste sindacali sono state cancellate nel nome di una nuova «produttività» che esige competitività e non ammette concessioni a tutela dei profitti, e nessun politico di grido viene ad interessarsi ai problemi locali. E l’acqua – o la sua mancanza – è diventata misura tangibile di una nuova povertà.

A Porterville, o meglio a East Porterville abitano dalle 5.000 alle 7.000 persone, perlopiù migrant workers- quasi tutti immigrati dal Messico – che si spostano da una regione all’altra secondo il calendario dei raccolti. Le modeste case, alcune poco più che baracche, sono disposte in filari.

Quasi tutte hanno davanti grandi serbatoi di plastica. Le taniche vengono rifornite una volta a settimana dalle autobotti della protezione civile che pompa acqua non potabile.

Da oltre sei mesi infatti dai rubinetti non esce più un filo d’acqua. Tecnicamente le case si trovano fuori dal territorio comunale e in assenza di un allacciamento alla rete idrica, l’acqua proviene da pozzi privati. Proveniva, dato che la drastica diminuzione di acqua disponibile ha scatenato la corsa al pompaggio anche da parte delle aziende agricole.

Di conseguenza tutta la falda acquifera si è abbassata in tutta la valle provocando, in alcuni posti, assestamenti del suolo anche di metri – e le pompe degli abitanti di Porterville ormai non pescano più.

Per scavare nuovi pozzi ci sono ora liste di attesa di molti mesi ed i costi per raggiungere le profondità necessarie non sono comunque alla portata dei cittadini costretti a competere per l’acqua con le aziende. Nella Central Valley migliaia di ettari sono ormai incolti, lasciati seccare perché I ricavi dei raccolti non valevano più i costi di irrigazione, ma alcune colture pregiate sono state addirittura espanse durante la siccità.

I campi morti

Così paradossalmente mentre a Porterville si usa l’acqua della protezione civile per lavarsi, nei campi intorno verdeggiano filari di mandorli e agrumeti. Si alternano ai campi «morti», lasciati avvizzire al sole; un paesaggio che dall’alto somiglia ad uno scacchiere verde-bruno, la geografia di un mercato dove l’acqua è un bene di consumo, una merce che ti puoi permettere, o forse no.

E nella gara fra persone e verdure, sono queste ultime spesso ad avere la meglio. Malgrado lo human right to water act, la legge adottata nel 2012 che garantisce l’accesso all’acqua pulita come un diritto umano, la realtà è un po’ diversa. L’acqua ce l’hai insomma, se te la puoi permettere. Da qualche mese nel parcheggio della parrocchia evangelica del quartiere, l’Iglesia Emmanuel, è stato sistemato un trailer con sei docce da campo.

Me le mostra il pastore Hernandez , un uomo rubicondo e robusto sulla sessantina, arrivato qui dal Michoacan da ragazzo a seguito dei genitori contadini e cresciuto in questa città.

A differenza di molti qui, parla inglese correntemente ma la sua prima lingua rimane lo spagnolo, quella della maggior parte dei suoi parrocchiani, compresi quelli che oggi arrivano senza sosta nel suo parcheggio. Non è per la messa ma per l’acqua: parcheggiano la macchina nell’aia e prendono le bottigliette che il pastore fa caricare nelle auto e sui pickup da suo figlio e un giovane volontario, dopo aver fatto compilare un breve formulario. «Indirizzo…? Quanti siete in famiglia?, Ultimo giorno con acqua corrente?» Le risposte dipingono un quadro drammatico.

«Questo è il ground zero della siccità”, mi dice Hernandez, è qui che sono state affette il maggior numero di famiglie. Dicono 6/7000 ma io credo che siano almeno 10000 le persone senza acqua – i clandestini non li conta nessuno, e qui sono moltissimi». «La gente ha pozzi di 8 metri e a quel livello ormai c’è solo sabbia.

I primi hanno cominciato ad asciugarsi l’estate scorsa. Qui alla chiesa ne avevamo uno di 15 metri e l’acqua è finita. Ne abbiamo fatto trivellare un altro di 30 metri e anche da quello ora esce acqua sabbiosa, segno che non durerà molto più a lungo».

Il pastore si lamenta che ad usare le docce vengono solo una quarantina di persone al giorno, vorrebbe che la gente vincesse la timidezza e usasse il servizio gratuito. Si interrompe per parlare col flusso continuo di persone che arrivano.

«Sono giorni che non passa l’autobotte» dice un giovane, «forse perché siamo solo affittuari..?» Il pastore distribuisce le casse di bottigliette provviste dal dipartimento di servizi di emergenza di Tulare county assegnando razioni in base alle dimensioni delle famiglie.

Un ayuda muy grande

Una signora sulla quarantina si ferma a parlare un attimo prima di risalire in macchina col carico prezioso. «Es una ayuda muy grande», dice, «un grande aiuto quello che ci viene fornito dalla parrocchia. Se non fosse per loro non so cosa farei. Abbiamo bambini in casa e non c’è acqua per lavarsi. E ora non c’è più neanche lavoro. Mio marito lavora negli aranceti ma è stato messo in pausa. Se non piove presto non ci sarà più lavoro».

«A questi muchachos quattro scatole». Il reverendo continua il suo lavoro di distribuzione. «La settimana scorsa ci siamo trovati qui con un gruppo di pastori di diverse località della Valley.

Una preghiera collettiva. E da ora ogni settimana per tutta l’estate ci raccoglieremo in una diversa città per pregare che torni finalmente a piovere. Ad ottobre, prima dell’inverno, saremo nuovamente qui a Porterville, nell’epicentro, con il gruppo più grande – dobbiamo pregare che non duri per sempre. All gente dico: “se dovete riparare il tetto fatelo ora che fra un po’ pioverà a catinelle». Non abbiamo scelta, dobbiamo avere fede».

Il cielo, terso anche oggi, senza una nuvola, sembra intenzionato a metterla a dura prova.