Nel padiglione italiano della Biennale di Venezia 2013, Sislej Xhafa invitava i visitatori ad appollaiarsi fra i rami di un albero per farsi tagliare i capelli da un barbiere di Mestre che, gambe ciondoloni, accoglieva il suo cliente in quel negozio improvvisato ed effimero. Con la sua performance, l’artista kosovaro (è nato a Peja nel 1970, ma vive e lavora a New York) concedeva a tutti la possibilità di assumere un punto di vista «alieno», di sperimentare un dislocamento e di riallacciare rapporti e abitudini a partire da questo slittamento di prospettiva. Lo stesso che proponeva, in fondo, quando allestiva il set della Borsa finanziaria dentro la stazione di Lubiana. O inventava un Paradiso tutto suo, con dozzinali sedie di plastica e un grande ombrellone.
La cifra dell’arte di Xhafa è un disorientamento spruzzato di ironia: scolpito in marmo nero, Garibaldi, l’eroe dei due mondi, si trasforma in homeless poco avvezzo alle celebrazioni. Ha una busta con sé e alcune zollette di zucchero per addolcire la passeggiata verso l’ignoto. Nell’installazione Barka, a rappresentare lo spostamento questa volta è un cumulo di scarpe incollate l’una all’altra: formano la sagoma di un gommone. Di grande pulizia formale, quasi classica, l’opera rimanda all’esodo dei migranti insistendo sulla «sparizione umana».

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Dal 2 giugno Sislej Xhafa sarà a Roma per la su retrospettiva dal titolo Benvenuto! al Maxxi (il giorno dell’inaugurazione, alle ore 18, ci sarà anche la performance Again and again), a cura di Hou Hanru con Luigia Lonardelli. Un viaggio temporale (e anche spaziale) dentro la mobilità dei confini e della realtà contemporanea. «Sono nato in Kosovo – dice – ma la mia relazione con le persone, nel campo della creatività, non è legata al luogo dove sono venuto al mondo. Tuttavia, quel luogo mi è sacro. Il posto e le condizioni in cui mi sono via via trovato hanno prodotto dei cambiamenti in me. La mia ispirazione proviene dalla strada dove cammino. È come un dono». E il lavoro di scavo costante e incessante di Xhafa è, come afferma lui stesso, «interrogare i modelli su cui regolarmente la nostra mente e le nostre emozioni riflettono».

Xhafa, lei vive in America. Cosa si aspetta dalle prossime elezioni presidenziali? Con l’occhio smaliziato dello straniero, che tipo di paese vede avanzare?
Donald Trump è intrattenimento puro, mentre Clinton un «prodotto» vero e proprio. Alla fine, l’elezione non è niente di più che un ordinario processo che si svolge seguendo le proprie regole e meccanismi. Dovranno passare ancora molti anni per cogliere le conseguenze dei suoi risultati. Sarà questa la vera sfida.

Veniamo alla sua arte. In «Barka» ma anche in altri lavori, lei presenta la storia divenuta catastrofe umanitaria semplicemente con alcuni oggetti…
Noi non vediamo il nostro respiro, eppure questo c’è, è presente. E i miei oggetti sono una testimonianza della realtà.

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In «Association in yellow», fra tutte le rappresentazioni del potere, ha scelto di stampare i nomi degli avvocati di New York su una giacca, scartando politici o industriali. Come mai?
A New York ci sono più avvocati che in qualsiasi altra città. L’America è un luogo che si regge sullo stato di diritto. È un settore importante, che determina la «rotta» dell’intero paese. Con la mia installazione, ho voluto dare una forma antropomorfa a quel principio, al fondamento legale che sostiene gli Stati uniti e alla sua funzione connettiva.

Come interpreta il rapporto fra arte e realtà? Per Duchamp era una partita a scacchi…
Camminare per le strade è un’esperienza che va oltre l’arte. Per Duchamp, la scacchiera erano un posto protetto. Per me, la partita si gioca su sentieri rischiosi.

Al Maxxi esporrà le sue opere in compagnia di Superstudio, il collettivo di architetti visionari, che inventavano spazi (im)possibili da abitare. Qual è la sua idea di città?
L’architettura è un riflesso vivente della nostra esperienza sociale. Quindi, la città è un luogo dove si può abbracciare la solitudine ma anche la scoperta.

Cosa racconta la sua mostra romana?
Benvenuto! è un processo continuo che coinvolge la consacrazione, l’apertura, l’impegno e il nutrimento. Considero questa esposizione come un grande ombrello la cui ombra genera un senso di unità, un legame possibile.

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L’ironia è una delle sue chiavi di interpretazione del mondo: è il suo modo di esercitare un pensiero critico?
L’arte è la sola forma di democrazia dove emozioni ed esperienze sono qualcosa di unico e non addomesticato. Da questo punto di vista, l’ironia è un invito a partecipare, a cambiare.

Qualcosa sulla sua formazione artistica?
Engagé...