Quando non mi venivano i figli ho capito che associavo le immagini di coppie prolifiche con milioni di bambini attaccati alle gonnelle ad un senso di promiscuità sessuale, di accoppiamenti smodati, ingordi, orgiastici. Come se l’atto sessuale generativo – quello che fa sì che lo spermatozoo più gagliardo fecondi l’ovulo – fosse anche in qualche maniera morboso, incestuoso, sessualmente improprio. Ecco, vedo passare una famiglia orientale con ombrellino, cappellini, borse, zainetti anche sui bambini piccoli, quelli riconoscibili come loro prosecuzione da caschetti neri di zazzere lucenti, quanti sono?

Non riesco a contarli, uno due tre, troppi troppi troppi! Abbiamo bisogno di tutta questa gente al mondo? Abbiamo bisogno di altri mocciosetti, di altre bocche da sfamare, di altri menti che, da adulte, scapperanno e non sapranno dove rifugiarsi alla ricerca di amore e tenerezza, comprensione e libertà? Cosa è egoismo e cosa generosità? Quanto mettere al mondo una vita è un atto per se stessi o per il nuovo altro essere che compierà la sua strada da solo? Quanto proiettiamo sui nostri figli, quanto un 10 in tutte le materie ci rende felici per un’intera giornata?

Sono diventata mamma tardivamente, a trentotto anni suonati, dopo aver incontrato il padre di mio figlio superata da un po’ la boa dell’incombente orologio biologico. Ci avevo quasi messo una pietra sopra, con dispiacere immenso. Ho desiderato avere un figlio la prima volta a tredici anni dopo aver visto Il tempo delle mele (lo so, sono l’unica). Ho mantenuto intatta la mia virtù molto molto a lungo, dando significato eccessivo all’atto, collegandolo all’unione assoluta di Corpo Mente Anima e Cuore, praticamente impossibile da trovare lungo un’intera esistenza, figuriamoci con la misera consapevolezza dei vent’anni.

I padri non girano per la strada col cartellino attaccato al collo, negli anni novanta era molto out desiderare un figlio da giovani: le donne correvano a studiare lavorare maturare e gli uomini galoppavano la sperimentazione erotica in nome di una vita diversa da quella dei propri genitori.

Leggo l’ultimo libro di Anne Tyler come attingessi ad una fonte fresca e dissetante di energia pura. La amo come scrittrice dal primo incontro. È la narratrice delle famiglie, delle donne, delle mogli e madri, più o meno felici, più o meno realizzate. Una spola di filo blu soffia il respiro di una discendenza di desideri non esauditi, di maternità casuali, facili e occasionali, trattando di figli di sangue e di elezione nello stesso modo.

L’amore traccia percorsi imprevedibili: ci si può sentire vicini più che mai ad esseri che non necessariamente sono nati dalla nostra pancia generatrice. E allora evviva i bambini e le donne che non hanno bambini, evviva i figli amati da donne che non sono le loro madri ma che ne fanno le veci alla grande, evviva gli uomini che sono più mamme italiane delle originali, evviva le coppie mono-sessuali, le persone sole che si prendono cura dei più deboli, evviva la commistione delle razze, dei colori, delle capigliature, delle fisionomie, delle corporature! In poche parole, alla faccia di chiunque lo neghi, evviva il futuro (che per fortuna è dietro l’angolo)!

Fabianasargentini@alice.it