Benyamin Netanyahu, facendo le condoglianze alle famiglie dei due israeliani, Levana Malihi e Yosef Kirma, uccisi domenica a Gerusalemme dal palestinese Misbah Abu Sbeih, ha esortato i cittadini ebrei a celebrare il Kippur e la Festa dei Tabernacoli (Succot) «sapendo che questo periodo viene scelto dai fomentatori di terrorismo e dagli incitatori per appiccare fiamme». Il premier ha spiegato anche questo attentato come parte di una guerra di religione, di uno scontro tra ebrei e musulmani mentre il conflitto tra israeliani e palestinesi, oggi come 70 anni fa o 100 anni fa, resta strettamente legato alla terra, alla negazione di diritti, alla colonizzazione, all’occupazione militare. Gli stessi media israeliani parlano di un gesto isolato, compiuto da «un lupo solitario» vicino ad Hamas (che lo ha descritto come un suo militante). E se il primo ministro mette in guardia dalle «azioni dei palestinesi» durante le prossime festività, occorre ricordare che questo è il periodo in cui diverse organizzazioni israeliane, nazionaliste e religiose, intensificano le pressioni per affermare il controllo sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, considerata dalla tradizione ebraica il biblico Monte del Tempio. Ventisei anni fa l’intenzione annunciata Gershon Sololom, leader del gruppo “Fedeli del Monte del Tempio”, di voler posare la prima pietra del terzo Tempio innescò scontri sulla Spianata che costarono la vita a 20 palestinesi, caduti sotto il fuoco della polizia. Anche questa festività del Succot, come quella dell’anno passato e degli anni precedenti, si annuncia ad alta tensione.

Dopo l’attentato di domenica il clima è pesante a Gerusalemme. La città è blindata, presidiata da migliaia di agenti di polizia e della guardia di frontiera. Come un anno fa quando, proprio ad ottobre, cominciò l’Intifada di Gerusalemme che i palestinesi spiegarono come una reazione alle «provocazioni» sulla Spianata e frutto della frustrazione dei ragazzi della generazione post-Oslo per l’occupazione militare mai terminata. Sino ad oggi sono morti oltre 30 israeliani e più di 200 palestinesi. Per gli israeliani invece quella cominciata un anno fa è l’Intifada dei Coltelli, degli attacchi all’arma bianca compiuti non dagli occupati contro gli occupanti ma da musulmani fanatici contro gli ebrei. Una interpretazione che raccolse diffusi consensi in Occidente, soprattutto nell’Europa ferita dagli attentati delle cellule dell’Isis. L’Intifada fu associata ai massacri dei tagliagole dello Stato islamico anche tutti sapevano che quanto accade in Israele e Territori occupati non ha nulla a che vedere con le guerre in Iraq e Siria.

Il pugno di ferro delle forze di sicurezza israeliane è scattato nella notte tra domenica e lunedì, poche ore dopo l’attentato. Sono stati arrestati, secondo l’agenzia Maan, almeno 55 palestinesi in tutta la Cisgiordania e nella zona araba (Est) di Gerusalemme. Oltre la metà nei sobborghi di Ram e Kufr Aqab da dove proveniva Misbah Abu Sbeih. Tra questi anche la figlia e il padre dell’attentatore al quale, secondo i provvedimenti decisi dal governo israeliano un anno fa, ora potrebbe essere demolita la casa, forse anche quella del fratello.

I raid notturni nei centri abitati palestinesi non sono una novità di questi giorni bensì una realtà quotidiana. Secondo i dati nelle Nazioni Unite, l’esercito israeliano ha effettuato 186 rastrellamenti in Cisgiordana solo nel periodo dal 6 al 19 settembre. Maan riferisce di almeno 118 palestinesi arrestati dall’inizio di ottobre.