Scene da Intifada, numeri da Intifada. Otto morti in Cisgiordania in meno di 24 ore. I Territori Occupati, guidati da Gerusalemme Est, si ribellano all’occupazione e alla mattanza in corso a Gaza e, ieri, ultimo venerdì di Ramadan, è stato giorno di rabbia e violenza.

La notte precedente, Leylat al-Qadr, la notte del destino che anticipa la fine del mese sacro di Ramadan, Ramallah è stata il palcoscenico di un evento che non si vedeva da anni: 10mila, forse 20mila palestinesi hanno preso parte alla marcia su Gerusalemme, organizzata dal neonato gruppo 48ThousandMarch. Partiti dal campo profughi di Al Amari hanno camminato avvolti negli slogan e nelle bandiere palestinesi fino al checkpoint di Qalandiya, uno dei più umilianti posti di blocco israeliani nei Territori.

I soldati erano già dispiegati, pronti a reprimere. Hanno cercato di disperdere la folla con i soliti mezzi, gas lacrimogeni, granate stordenti, bombe sonore: i primi feriti sono stati portati via dalle ambulanze prima che tutti i manifestanti riuscissero ad arrivare al checkpoint. I giovani palestinesi, volto coperto dalla kefiah, hanno risposto con pietre, biglie e molotov e sparato fuochi d’artificio, nuovo originale strumento per tenere lontani i soldati. Fino alle pallottole israeliane: oltre 280 i feriti (una decina gravi e oltre 150 colpiti da proiettili veri) hanno affollato gli ospedali, trasportati dalle ambulanze che per ore hanno fatto la spola con Qalandiya.

Due giovani hanno perso la vita, centrati dal fuoco israeliano: Mohammed al-Araj, 19 anni, e Majd Sufyan, 27. Una notte di fuoco che ha fatto da preludio ad un venerdì di rabbia e sangue: dopo la preghiera, sono ricominciate le proteste. A Qalandiya il funerale di Mohammed ha riportato in strada centinaia di manifestanti, mentre a Gerusalemme gli shebab si scontravano con la polizia israeliana intorno alla Moschea di Al Aqsa, di nuovo provocatoriamente sbarrata ai fedeli sotto i 50 anni. Un centinaio di manifestanti è riuscito a rompere le barriere e ad entrare nella Spianata. Quaranta i feriti, quaranta gli arrestati. Numeri da Intifada.

Manifestazioni anche a Betlemme, Nablus, Hebron. E altri cinque morti: Khaled Azmi Oude, 18 anni, è stato ucciso da un gruppo di coloni che ha sparato contro una marcia nel villaggio di Huwwara, mentre Taybe Mohammed Saleh Shade, 25, è morto sotto il fuoco dei soldati giunti sul posto dopo l’omicidio di Khaled. A Beit Ummar, tra Hebron e Betlemme, hanno perso la vita Hashem Abu Maria, 47 anni, Abd al-Hamid Breigheth, 35, e Sultan al Za’qiq, 30. Nel campo profughi di Al Arroub, a cadere sotto i colpi è stato Eid Fadhelat, 32 anni. Uno stuolo di pietre, un fiume di pietre, ha unito ieri Gerusalemme e la Cisgiordania, annullando simbolicamente il muro di separazione israeliano. Da una parte all’altra i palestinesi hanno sputato fuori l’orrore e la frustrazione per una situazione di oppressione ormai insostenibile.

La chiamata alla sollevazione, al “Giorno della Rabbia”, è arrivata da tutte le fazioni palestinesi, Fatah in testa, che ha sfidato il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese. Mahmoud Abbas, da Amman, ha fatto appello al popolo perché doni il sangue da inviare alla martoriata Striscia di Gaza, evitando qualsiasi accenno all’appello del suo partito. Neppure la polizia palestinese ha fatto capolino alle manifestazioni: ad accendere la rabbia, nel mese appena trascorso, erano stati gli interventi delle forze di sicurezza dell’Anp, che in molti casi avevano impedito ai manifestanti di avvicinarsi ai checkpoint. Ieri, e di nuovo oggi, le camionette verdi dell’Anp sono rimaste lontano dagli scontri, voltate dall’altra parte, come se nulla stesse accedendo.

Spinti in strada dall’ennesimo sfregio da parte delle autorità israeliane – il bombardamento della scuola dell’Unrwa a Beit Hanoun, Gaza – il popolo palestinese si è di nuovo unito. Tanti i manifestanti che in piazza hanno gridato che questo attacco non è un’offensiva contro la Striscia, ma contro tutta la Palestina. Tutto il popolo palestinese è in guerra, da Gerusalemme alla Galilea, da Jenin al Naqab.

«Ieri a Qalandiya i sentimenti che respiravo in mezzo a quelle 20mila persone erano tanti, e diversi – racconta al manifesto Abdallah, uno dei partecipanti alla marcia – Sorpresa per una simile mobilitazione, orgoglio per i tanti che ancora credono nella resistenza, rabbia verso l’Anp, per il massacro di Gaza. La gente vuole muoversi e lo fa con i pochi mezzi che ha: la strada, le pietre. Siamo soli, senza una guida politica ma la base ha dimostrato di sapersi mobilitare. A darci la forza è anche il palese nervosismo israeliano: ieri sparavano di tutto, senza sosta, gas e ancora gas, proiettili. È la guerra di tutti».

La base si muove. Non solo in strada. Si alzano di nuovo le chiamate al boicottaggio dei prodotti israeliani. Molti gruppi stampano poster e avviano campagne per tornare a qualche anno fa, quando per mesi la Cisgiordania, con non poche difficoltà, boicottò i prodotti di Tel Aviv provocando il panico tra le aziende israeliane che persero milioni di dollari. I Territori Occupati sono il primo mercato per il business israeliano, un mercato di oltre 4 milioni di persone, una miniera d’oro.

La Terza Intifada è alle porte? «Difficile fare pronostici – ci spiega Tariq Dana, professore alla Hebron University – Le condizioni oggettive sono presenti: colonizzazione, crisi socioeconomica, fallimento dei negoziati. Ma c’è un ostacolo: i partiti politici, che dovrebbero guidare la mobilitazione, hanno perso credibilità. I movimenti di massa sono stati trasformati in ong professionali, finanziate dall’estero, lontane dal popolo. Le politiche neoliberiste dell’ANP hanno iniettato nel tessuto sociale una dose di valori divisivi, individualismo e consumismo, hanno eroso i principi del collettivismo e dell’interesse per il bene pubblico. Ma la nostra regione è piena di sorprese e c’è un aspetto che può alterare questa equazione: l’eventuale rivolta contro l’Anp e la nascita di nuove forme di organizzazione sociale e politica dal basso».