Il 29 luglio di quest’anno debutterà nelle sale dell’arcipelago nipponico Godzilla Resurgence – Shin Gojira, il trentunesimo film giapponese dedicato al kaiju creato e portato sul grande schermo dalla coppia Ishiro Honda e Eiji Tsuburaya nel 1954. Questa nuova pellicola sarà co-diretta da Hideaki Anno e Shinji Higuchi e viste le prime immagini sembra essere un ritorno alle origini di Godzilla, quello originale per intenderci, tanto per design che per stile. Con una scelta che potrebbe sembrare spiazzante ma che è invero azzeccatissima, il Far East e nello specifico il curatore della retrospettiva «Beyond Godzilla» Mark Schilling, hanno deciso di «celebrare», rilanciare ed espandere questo ritorno portando a Udine dieci film di fantascienza giapponese che esplorino la filmografia extra Godzilla, opere che nel corso della lunga ed importante storia del cinema nipponico abbiano cioè affrontato la fantascienza ed il fantastico senza sfruttare (troppo) il lucertolone gigante. La tradizione fantascientifica e del fantastico giapponese è lunghissima ed assai vasta, B-movie, animazioni, serie televisive, tokusatsu e quant’altro, ma la rassegna di Udine presenterà e si focalizzerà su dieci opere che forniscono una «storia» alternativa e parallela del cinema di fantascienza scaturito nell’arcipelago. Gli spettatori avranno la possibilità di vedere sul grande schermo dieci film fra cui quattro diretti dallo stesso Ishiro Honda, quattro da Obayashi Nobuhiko, uno dei registi giapponesi più sottovalutati sia in Occidente che in patria, più un film di Okamoto Kihachi ed uno di Kaneko Shunsuke.


Andando in ordine cronologico, il primo lavoro che incontriamo è Mysterians del 1957, prodotto dalla Toho e diretto da Honda, il suo primo film in widescreen fra l’altro, una storia dove una popolazione aliena che girovaga per lo spazio dopo la distruzione del proprio pianeta scende sulla terra in Giappone, richiedendo che sia data loro la terra dove abitare e la possibilità di sposare le donne terrestri. Siamo a poco più di un decennio dalla fine della guerra mondiale e l’allegoria della razza aliena che si impossessa del suolo e delle donne giapponesi, ovvero gli Stati Uniti e l’occupazione post bellica dell’arcipelago,  non è neanche troppo nascosta. Relativamente più noto, almeno nel nostro paese, è Matango di sei anni sucessivo e sempre realizzato dal creatore di Godzilla, Matango è un film che ha spesso «turbato» le notti insonni degli spettatori di Fuori Orario specialmente durante gli anni novanta. Lisergico nei suoi contenuti, cinque turisti su un’isola incontrano il popolo dei funghi, e nel suo andamento orrorifico, la pellicola resta ancora oggi uno dei film più potenti sul nostro desiderio/terrore di mutare ed ibridarsi con gli altri regni del creato.

Del 1965 è invece Invasion of the Astro Monsters che, se non andiamo errati, dovrebbe essere una pellicola in cui compare anche Godzilla, la sesta per la precisione, ma non da «attore principale» bensì attorniato da una miriade di altri kaiju che difendono o attaccano il pianeta terra. L’ultimo Honda presentato nella retrospettiva a Udine sarà Latitude Zero, uscito nel 1969 e rivisitazione in chiave tokusatsu dell’Isola del dottor Moreau realizzata anche con attori americani. Un balzo di stile, di visione del mondo, di cinema e un po’ di tutto insomma, lo si ha con House/Hausu del 1977, lungometraggio di debutto per Nobuhiko Obayashi, fino ad allora conosciuto in Giappone solo nei circoli ristretti del cinema sperimentale, durante gli anni sessanta, ed in quelli delle pubblicità televisive che lo videro attivo nel decennio successivo. House è probabilmente il lavoro più conosciuto ed amato di tutta la retrospettiva, diventato il film di culto giapponese per eccellenza nell’ultimio decennio, è una rivisitazione del genere horror, la casa stregata, i fantasmi, la vecchia zia, filtrata e passata al mixer del surrealismo camp più spinto e della gioia del nonsense. Imperdibile sarà la visione sul grande schermo di un capolavoro così fuori da qualunque schema e genere, tanto più se qualcuno si avvicinerà al film per la prima volta, una meraviglia. Obayashi, che rimane tutt’oggi molto attivo e capace ancora di sorprendere anche alla veneranda età di 78 anni, del 2012 è il suo notevole Casting Blossoms to the Sky per esempio, sarà anche ospite del Far East dove presenterà le sue opere. Oltre a House saranno proiettati anche School in the Crosshairs, Exchange Students e The Girl Who Leapt Through Time, tutti realizzati nei primi anni ottanta e tutti ambientati nel periodo scolastico. The Girl Who Leapt Through Time rimane certamente il suo film più conosciuto in patria, tratto da uno dei romanzi di fantascienza più popolari in Giappone, scritto da Yasutaka Tsutsui nel 1967, racconta di una studentessa delle scuole superiori che un giorno improvvisamente acquista la capacità di spostarsi nel tempo. Il libro ha dato luogo ad una miriade di adattamenti, oltre al film di Obayashi ricordiamo almeno il bel lungometraggio animato diretto da Mamoru Hosoda nel 2006.

A completare la retrospettiva a Udine ci saranno Blue Christmas diretto da Okamoto Kihachi nel 1978 e Gamera 3: Incomplete Struggle di Shusuke Kaneko, l’ultimo capitolo della trilogia con cui il regista giapponese negli anni novanta riuscì a riportare il franchise a livelli qualitativi di un certo livello. Fra gli appassionati di kaiju eiga Kaneko e la trilogia dedicata alla «tartaruga» gigante resta uno dei capitoli più amati e apprezzati, soprattutto per l’uso di effetti speciali che sanno mescolare alla perfezione nuove tecnologie e «vecchi» costumi di gomma. Chiudiamo con Blue Christmas lavoro con cui Okamoto nel 1978 metteva in scena un’invasione aliena sui generis, in cui il sangue dei terrestri che riuscivano a vedere gli UFO diventava blu dando il via ad una persecuzione verso il diverso da parte degli altri abitanti della terra. Dieci film così diversi per periodo in cui furono concepiti, stile ed estetica ma che nella loro totalità permetteranno allo spettatore accorso ad Udine di immergersi in una fantascienza ed in un fantastico che di solito non è possibile esperire.