Il tavolo di Ginevra è sospeso: «C’è ancora lavoro da fare – ha detto ieri sera l’inviato Onu de Mistura – Non è la fine, non è il fallimento del dialogo». Se ne riparla – ha aggiunto – fine mese, il 25 febbraio. Ma la «pausa temporanea» di cui eri parlava de Mistura è una coperta corta: il negoziato in realtà non è mai partito perché nessuna delle parti lo ha mai digerito. Tanto che sul campo si continua a combattere.

Ieri missili sparati dalle opposizione a Daraa hanno ucciso 10 civili, secondo l’agenzia di Stato Sana, mentre il governo di Damasco annunciava la ripresa dei due villaggi di Nubel e al-Zuhra, nella provincia di Aleppo. Con loro è stata rioccupata la strategica strada di collegamento tra la città e il confine turco, unica via di rifornimento per i gruppi anti-Assad a nord. Secondo le opposizioni proprio questa operazione li ha spinti a cancellare il meeting di martedì con l’Onu: «Si tratta di un’accelerazione massiccia dell’aggressione militare del regime», aveva detto l’Hnc.

Una cancellazione che aveva molto infastidito de Mistura: «Il livello di fiducia tra le parti è vicino allo zero». Ognuno tira acqua al suo mulino: il capo negoziatore del governo al-Ja’afari che lamenta di non avere ancora la lista degli invitati a Ginevra («Aspettiamo Godot, ma Godot non è ancora arrivato»); le opposizioni che continuano a chiedere la fine dei raid russi; Mosca che, per bocca del ministro degli Esteri Lavrov, boccia la richiesta («I bombardamenti non cesseranno fino a quando non avremo sconfitto organizzazioni terroristiche come al-Nusra»).

Nel mirino russo è finito anche l’accerrimo nemico, Ankara, e il confine tra Siria e Turchia: ieri, prima delle sospensione, Lavrov aveva indicato nella chiusura della frontiera (da cui per anni sono transitati miliziani islamisti e armi) il primo passo verso il cessate il fuoco. Una dichiarazione che è un attacco a chi finora avrebbe bloccato il negoziato, l’asse Ankara-Riyadh, longa manus dietro le opposizioni dell’Hnc.

In arrivo i 3 miliardi europei

La Turchia, da parte sua, non cede di un millimetro e continua a combattere la sua guerra nel nord della Siria, contro la compagine kurda considerata braccio del Pkk oltre confine. Dopotutto è protetta dall’impunità garantita dall’Occidente. Ieri quell’impunità si è espressa con la definitiva approvazione da parte di Bruxelles del pacchetto di aiuti da 3 miliardi di euro per l’accoglienza dei profughi. La stragrande maggioranza di loro, 2,5 milioni, sono siriani. Pagano una guerra di cui la Turchia è parte e che ogni giorno di più si sposta dalla Siria al sud est turco.

Il numero di morti civili aumenta, circa 170 da agosto, come aumenta il numero di sfollati. Ieri dal distretto di Sur, a Diyarbakir, centinaia di persone hanno caricato i propri effetti personali su carretti e camioncini e sono fuggiti, seguendo altre migliaia di residenti già scappati. Hanno approfittato della parziale sospensione del coprifuoco che soffoca il centro della città kurda da metà dicembre. Televisioni, borse, tappetti: hanno preso il possibile, trasformando la parte occidentale di Sur in una città fantasma.

Resta il coprifuoco a est, dove ieri sono stati uccisi due poliziotti in scontri con presunti combattenti del Pkk. E resta anche a Cizre, sotto assedio da 51 giorni. L’attenzione rimane concentrata sul sotterraneo in cui da 11 giorni sono intrappolati 29 civili. Non tutti vivi: 7 sono morti per le ferite e perché l’esercito turco impedisce alle ambulanze di soccorrerli. Degli altri 22 non si hanno più notizie da tre giorni, un silenzio che strazia i familiari.

A rompere l’assedio hanno provato 10 donne, madri di alcune delle persone nel sotterraneo. Sono riuscite a raggiungere il cortile, quando la polizia è intervenuta e le ha arrestate. Hanno però dimostrato che quanto dichiarato dal governo non è la verità: lunedì, per sviare le pressioni del partito di opposizione Hdp, il ministro degli Interni Efkan Ala aveva accusato il Pkk di sparare ai civili che tentavano di uscire dall’edificio. Per questo, aveva spiegato, restano in trappola.

Diversa la versione dei cittadini di Cizre secondo i quali l’artiglieria pesante turca colpisce l’edificio appena qualcuno tenta di fuggire da una casa che cade a pezzi e dalla fame e la sete che attanaglia i prigionieri. Per il presidente Erdogan sono «bugie», per il ministro Ala «speculazioni». Per l’Hdp è un massacro: ieri il leader del partito Demirtas ha chiesto al governo l’apertura di un corridoio umanitario a Cizre.

Nel silenzio della comunità internazionale, voce fuori dal coro è quella dell’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, Zeid Ra’ad al Hussein, che lunedì ha fatto appello ad Ankara perché apra un’inchiesta sull’uso della forza contro i civili nel sud est del paese: «Se ufficiali dello Stato hanno commesso violazioni, devono essere perseguiti».

L’Isis si allarga in Libia

Chi beneficia dell’eterno stallo nel negoziato siriano e degli interessi particolari di certi paesi è l’Isis, dal Medio Oriente al Nord Africa. Ieri il capo dell’intelligence libica di Misurata ha detto alla Bbc dell’arrivo a Sirte di diversi comandanti dell’Isis, in fuga da Iraq e Siria e dai bombardamenti della coalizione e dell’aviazione di Mosca. Aumentano i foreign fighters, ma anche i leader. Se così fosse in Libia si prospetterebbe un’offensiva ancora più massiccia.