«Il processo d’impeachment non ha alcun fondamento giuridico, è un golpe istituzionale». Così dice al manifesto l’insigne giurista brasiliano Dalmo de Abreu Dallari. Lo abbiamo incontrato a Roma, ospite di riguardo al convegno internazionale Globalizzazione e diritti fondamentali, organizzato dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso Issoco.

Classe 1931, Dallari ha pubblicato molti lavori sul ruolo dello Stato, il potere dei giudici e i diritti umani. E’ stato il primo presidente della Commissione giustizia e pace di San Paolo, e anche uno degli estensori del testo d’impeachment contro l’ex presidente Fernando Collor de Mello. Una destituzione sull’onda di forti contestazioni, che, nel 1992, ha creato un precedente nella storia del Brasile e dell’America latina. «Nel caso di Collor – dice il giurista – si è trattato di uso improprio di risorse pubbliche a fini personali. Nel caso di Dilma, invece, siamo di fronte a un gioco contabile, amministrativo, non a un crimine».
Durante la dittatura militare (1964-1985), Dallari era avvocato. Per difendere i prigionieri politici ha rischiato più volte la vita e il carcere

Cosa ricorda di quel periodo?

Allora, non c’erano molti avvocati che osassero sfidare la dittatura per aiutare i prigionieri politici. Io lo facevo, li difendevo gratuitamente con l’appoggio delle comunità ecclesiastiche di base che credevano nella Teologia della Liberazione. Viaggiavo in lungo e in largo per parlare di diritti umani e non ero certo visto di buon occhio. Durante la visita del papa, a luglio dell’80, volevamo assolutamente denunciare la situazione durante la messa a San Paolo. Allora, come sindaco c’era un personaggio super-corrotto, Paulo Maluf. Un uomo potente, sempre sulla breccia, considerato il quinto uomo più ricco del paese. La notte prima della cerimonia, vengo aggredito da un gruppo di uomini armati, portato in un luogo isolato e picchiato violentemente. Credendomi morto, mi lasciano per terra. Invece riprendo i sensi e riesco a trascinarmi fino a casa. Poi, alcuni medici solidali mi hanno somministrato trattamenti forti e l’indomani sono stato accompagnato in chiesa su una sedia a rotelle. Ho raccontato quel che era successo, quel che stava succedendo in Brasile. Qualche mese prima ero finito in carcere insieme a molti leader sindacali, tra cui Lula. Quando si sono create le condizioni, ho viaggiato in tutto il paese per spiegare la necessità dell’Assemblea Costituente. Ma non ho mai voluto iscrivermi ad alcun partito, per mantenere la mia indipendenza. Resto un giurista.

Il voto d’impeachment a Rousseff, che ha subito carcere e torture, ha evidenziato il forte peso che hanno ancora i poteri legati alla dittatura, disturbati dalla Commissione per la verità da lei istituita per indagare i crimini commessi dai militari. Pensa che la democrazia sia nuovamente a rischio in questa situazione?

Quando un paese ha una buona costituzione, com’è la nostra, questo crea un buon antidoto alla dittatura. Nel 1988, la nostra costituzione è stata discussa e approvata con un’ampia partecipazione popolare, si è discusso e modificato il testo. Detto questo, si stanno verificando forzature e c’è anche una responsabilità della cittadinanza, che ha votato varie volte personaggi corrotti e screditati come Maluf, che è disposta a barattare il suo voto e quindi i diritti e le libertà per un posto di lavoro. Di recente, sono state poste alcune barriere, alcuni ostacoli a questo commercio con la legge sul finanziamento ai partiti politici, ma scontiamo errori e ritardi. Dilma ha detto, giustamente, che bisognerà indire nuove elezioni con altre regole elettorali. Il problema, con questo governo Temer, è però che in pochi mesi le cose stanno cambiando in fretta e poi sarà difficile tornare indietro. Io ho sempre difeso i diritti degli indigeni dell’Amazzonia, vittime di soprusi e violenze dei latifondisti. Tre tribù mi hanno eletto indiano onorario. E ora Temer ha messo a presiedere l’ente governativo per la protezione agli indigeni uno dei militari repressori, alla sicurezza interna c’è un ex torturatore, e altri corrotti. Ma resto fiducioso, non solo perché la partita dell’impeachment è ancora aperta, ma per la maturità dei cittadini, che non permetteranno un simile ritorno indietro.