«Icardi gol, gol, gol». Il telecronista, con stile sudamericano, esalta la rete del bomber dell’Inter nella partita con la Juventus. Abu Mahmoud sorride. Poi accede una sigaretta e riprende a sorseggiare il suo caffè, non staccando gli occhi per un attimo dallo schermo televisivo. Alle sue spalle dominano grandi manifesti con slogan di dubbia efficacia che descrivono le presunte qualità di alcuni candidati al Parlamento. «Martedì (oggi) non andrò a votare, non mi interessa e poi è inutile, i risultati sono già scritti» ci spiega Abu Mahmoud raccogliendo l’approvazione di un paio di amici. «Il Parlamento non conta niente e chi vuole entrarci lo fa solo per mettersi in tasca un po’ di soldi» aggiunge un attimo prima di esultare di nuovo per il gol della vittoria della formazione nerazzurra. Questo avveniva domenica sera in un caffetteria all’aperto di Jabal Amman. A due giorni dal voto si discuteva di calcio, poco o niente delle elezioni. Così anche ieri. Un disinteresse che contrasta con il look elettorale del regno hashemita.

Le autorità giordane hanno promosso in ogni modo il voto per il rinnovo del Parlamento. Da parte loro i giornali hanno riservato ampio spazio alle elezioni. Radio e canali tv hanno trasmesso ore ed ore di dibattiti. In una regione sconvolta da crisi sanguinose e attraversata da laceranti tensioni religiose, le elezioni per il rinnovo del parlamento giordano sono un evento straordinario. 226 liste e oltre 1200 candidati competono per i 130 seggi dell’assemblea. Di questi (appena) 15 sono garantiti alle donne. Altri seggi in quota permetteranno l’ingresso in Parlamento alle minoranze etniche e religiose. Sulla regolarità delle votazioni vigileranno anche 40 osservatori dell’Unione europea. Nessuno si aspetta brogli e irregolarità diffuse. Perché i problemi nascono a monte. La nuova legge elettorale, sebbene abbia ridimensionato il voto uninominale per sostituirlo con un sistema di lista aperta, comunque ostacola ancora i partiti e favorisce i candidati delle zone rurali, meno popolate rispetto alle città, e quelli, come i beduini, fedeli da sempre alla monarchia. Da qui nasce una delle ragioni dell’astensione dal voto. Secondo i sondaggi meno del 40% dei quattro milioni e centomila elettori giordani oggi andrà alle urne.

«Questo dato non deve sorprendere, riflette un orientamento diffuso» ci dice Heba Obeidat, una giornalista che ha condotto dibattiti radiofonici molto popolari sulle frequenze di Radio Balad, una emittente comunitaria. «I punti affrontati dai candidati – aggiunge – sono stati importanti: la società, i diritti delle donne, l’economia, la religione, la sicurezza. E la gente ha seguito con interesse, lo dimostrano i dati degli ascolti. Tuttavia il fatto che il Parlamento non abbia poteri veri scoraggia gli elettori che sono frenati anche dagli scandali che hanno coinvolto in questi anni non pochi deputati». I giordani sanno che non saranno i nuovi eletti a trovare le soluzioni ai problemi come la disoccupazione al 14 per cento che colpisce soprattutto i giordani con meno di 30 anni (il 70 per cento dei 9,5 milioni di abitanti). E non saranno le leggi che approverà il nuovo Parlamento a dare una spinta alla ripresa del Pil, sceso del 3,1% del 2014 al 2,4% del 2015. Disoccupazione e crescita debole peraltro alimentano nella popolazione l’idea che siano i profughi siriani assieme a quelli palestinesi a “rubare” il lavoro, un cavallo di battaglia dei candidati conservatori che si proclamano difensori del principio «prima i giordani».

Della guerra alle porte del Paese, della crescita del jihadismo, dei rapporti con Israele e i palestinesi, si è dibattuto poco. I giordani faticano ancora a conquistarsi spazi significativi di espressione libera su temi considerati sino ad oggi di pertinenza esclusiva della monarchia e dei potenti servizi di intelligence. «Un vero peccato – commenta Muaffak Mahadein, un intellettuale autore di romanzi e saggi – perché mai come ora i giordani devono avere il coraggio di alzare la voce e dichiarare quello che pensano della politica estera del Paese, verso la crisi in Siria e il futuro dei palestinesi». Mahadein, che si descrive come un «marxista che ha perduto ogni speranza nella sinistra giordana», si dice convinto che queste elezioni «abbiano lo scopo di nominare un Parlamento un po’ più rappresentativo di quello uscente e allo stesso tempo abbastanza moderato da approvare possibili scelte che riguarderanno i palestinesi. Soluzioni indigeste che dovranno accettare anche i Fratelli Musulmani cooptati nel sistema attraverso il voto».

Che questo sia il ruolo effettivamente assegnato dal “potere” al più popolare dei movimenti politici giordani, si potrà capirlo solo più avanti. È certo però che la partecipazione al voto dei Fratelli Musulmani, che avevano boicottato le urne nel 2010 e nel 2013, sia il dato più interessante di queste elezioni. In effetti i FM sono illegali e la monarchia e servizi di intelligence hanno innescato diverse scissioni interne al movimento generando partiti islamisti paralleli alla Fratellanza. Le autorità allo stesso tempo hanno chiuso un occhio, anzi tutti e due, e permesso ai FM di presentare 25 liste indipendenti sotto la sigla “Alleanza Nazionale per la Riforma” che, secondo gli esperti, potrebbero conquistare una ventina di seggi, in particolare nella Amman più povera, quella orientale, e nella provincia di Zarqa, la terza per numero di abitanti del Paese. Gli islamisti hanno scelto un approccio morbido inserendo diverse donne nelle loro liste e persino alcuni cristiani. Per Salem al Falahat un esperto di movimenti islamici, la partecipazione dei FM è un successo per le autorità che potranno affermare che il sistema giordano è “democratico” sapendo però che in Parlamento l’opposizione non avrà denti per mordere. Per i Fratelli la scelta sarebbe stata obbligata dopo i colpi che il movimento ha subito nella regione e per evitare di seguire la stessa sorte degli colleghi egiziani spazzati via dal regime di Abdel Fattah al Sisi.

Poche speranze di far rumore anche a sinistra. Solo la lista Maan (Insieme) ha la possibilità di conquistare qualche seggio. L’anziano Khaled Ramadan e il giovane Kais Zayadin, sono in grado di attirare i voti rispettivamente delle vecchia generazione laica e dei ragazzi che andranno per la prima volta alle urne. Tuttavia gli slogan di “Maan” contro la radicalizzazione e le imposizioni della religione raccolgono i consensi una minima parte di una società dove la fede rappresenta il rifugio di un numero crescente di giordani. Non è chiaro peraltro come voteranno le migliaia di affiliati e simpatizzanti al neonato movimento giovanile Shaghaf. I due fondatori, Odai Harahsheh e Odai Bisharat, rifiutano di esprimere un preciso orientamento e tendono a presentarsi come rappresentanti dell’antipolitica che fa breccia anche tra i giovani giordani. Le urne si chiuderanno questa sera. I risultati definitivi delle elezioni si conosceranno tra domani e giovedì.