Analisi esegetiche e testuali e un imponente lavoro filologico; edizioni critiche ne varietur e accurate ricostruzioni storiche; studi biografici e di critica letteraria: in una battuta, una bibliografia storico-critica ricca di decine di testi fondamentali. È questo il frutto della Bruno-Renaissance verificatasi in questi ultimi decenni e legata ai nomi (per limitarsi agli studiosi italiani: tra gli stranieri basti qui nominare Frances Yates) di Nicola Badaloni, Giovanni Aquilecchia, Alfonso Ingegno, Michele Ciliberto e, naturalmente, Eugenio Garin. Mancava però finora una summa enciclopedica che sistematizzasse i risultati di questo gigantesco lavoro in un discorso unitario e concreto, sul modello della dantesca e della virgiliana prodotte dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. Ci si può chiedere perché, e immaginare risposte diverse.

Si può chiamare in causa la potente mitologia subito sorta intorno alla figura e all’opera dell’autore del De la causa e della Cena delle ceneri, di questo simbolo della libertà del pensiero e della laicità, della modernità e della sua «generazione equivoca»: una mitologia che, puntualmente sovrapponendosi al profilo storico e testuale, ne ha per dir così scompigliato le linee. O si può evocare il carattere radicalmente «universale», pluridisciplinare – anzi, per dir così, transdiscorsivo – di un’opera che non soltanto spazia tra filosofia e letteratura, teologia, politica e moderna scienza della natura (dove quest’ultima, fusa con le superstizioni rinascimentali, dà vita a un’esaltazione della «magia» come sapere demiurgico), ma si costituisce, letteralmente, nell’osmosi, per noi difficile a comprendersi, di queste differenti logiche. E che quindi resiste a una lettura unitaria, che, per quanto duttile, rischia di tramutarsi in una camicia di forza.

Una irriducibile eccedenza

Benché Bruno sia oggi per noi un eroe della coerenza, oltre che del coraggio e dell’orgoglio, a scoraggiare l’impresa enciclopedica è stata sin qui forse l’irriducibile eccedenza di un discorso polimorfo e obiettivamente (per struttura e dinamica immanente, oltre che per animus e intenzione) anarchico.
Queste ragioni e probabilmente altre ancora aiutano a spiegare la tarda comparsa di strumenti enciclopedici incentrati sull’opera e la figura di Giordano Bruno. Fatto sta che ora, assestatasi la cospicua messe di un pluridecennale lavoro critico, una poderosa opera colma finalmente questa lacuna. Mostrando come negli ultimi decenni non si sia solo lavorato con acribia, competenza e passione sul testo bruniano e sui suoi straordinari contesti. Si è anche costruita, ad opera di un’agguerrita schiera di storici della filosofia e della cultura ferrati nella ricerca filologica, una prospettiva al tempo stesso organica e articolata, aperta benché robustamente unitaria.

Pubblicati dalle Edizioni della Scuola Normale di Pisa in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, arrivano in questi giorni in libreria i tre sontuosi tomi in-quarto (due di testo, di oltre mille pagine ciascuno, composti in colonne fitte in corpo 9; il terzo di apparati: bibliografia delle opere, bibliografia critica e indici) di Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini (euro 180). Che offrono al lettore qualcosa come 1200 voci, opera di 37 studiosi attivi in università e centri di ricerca di tutto il mondo, ma per la gran parte riconducibili a quell’officina bruniana di incomparabile operosità che Michele Ciliberto, ideatore e curatore dell’opera (oltre che direttore dell’edizione adelphiana delle opere di Bruno e autore di testi critici di riferimento tra i quali La ruota del tempo. Interpretazione di Giordano Bruno (Editori Riuniti, 2000); Giordano Bruno (Laterza, 2000); Umbra profunda. Studi su Giordano Bruno (Storia e Letteratura, 2000); L’occhio di Atteone. Nuovi studi su Giordano Bruno (Storia e Letteratura, 2002); Giordano Bruno. Il teatro della vita (Mondadori, 2007), ha saputo animare nell’arco di tre decenni, vivificando l’eredità gariniana e al tempo stesso trasformandola in una instancabile fucina editoriale.

Una struttura labirintica

Si diceva dell’unità del percorso e del punto di vista che lo motiva senza tuttavia coartare il discorso bruniano. Di ciò fa fede in primo luogo la logica pluriversa del lemmario, scorrere il quale suggerisce con forza l’immagine di una struttura labirintica. Le voci sono idealmente ripartite tra cinque ambiti. In primo luogo, le categorie teoriche che strutturano il lessico della «nolana filosofia» nel contesto della tradizione filosofica in particolare rinascimentale (tra queste i lemmi «acqua», «anima», «etere», «fato», «grembo», «infinito», «ombra», «sigillus», «universo» e «vinculum»). Quindi, non senza una specifica attenzione ai temi della polemica anticristiana, le variegatissime fonti antiche e moderne, letterarie e filosofiche, teologiche e scientifiche (Cicerone e Copernico; Platone, Aristotele, Erasmo e Calvino; Lucrezio e Melantone; Tommaso, Virgilio e Tycho Brahe). Terzo ambito: gli episodi e i luoghi, le figure e i motivi della biografia bruniana e del mondo politico, culturale e religioso che ne fu contesto (voci sono per esempio dedicate a Elisabetta I, a Enrico III e a Mocenigo; e alle città e agli atenei nei quali il Nolano dimorò ed esercitò il proprio magistero). Un ulteriore insieme tematico raggruppa idealmente gli autori e i momenti salienti della fortuna di Bruno, muovendo dal tempo della sua vita terrena (si vedano in proposito le voci dedicate a Keplero e a Mersenne, a Spinoza e a Leibniz). Infine – ma non si tratta certo della componente meno originale dell’opera, né della meno scontata e agevole – i profili critici degli studiosi che hanno studiato la «nolana filosofia» (tra questi Warburg e Gentile, Spaventa e Nowicki) e dei letterati (da Brecht a Joyce, da Gadda a Calvino) che ne hanno tratto ispirazione.

Ma, a illustrazione di quanto si diceva sull’organicità dell’opera, sulla sua capacità di intrecciare tra loro mito, storia e teoria e di tenerli insieme in una trama coerente, connota ciascuna voce – in particolare quelle lunghe e più densamente teoretiche – una cifra unitaria, trasversale ai diversi ambiti che la costituiscono. Può darne qui una vaga idea, a titolo di esempio, la pur sommaria sintesi di una delle voci dedicate a concetti-chiave della riflessione bruniana.

Un principio ordinatore

L’analisi del concetto di «anima» – diciotto fitte colonne nelle pagine di apertura del primo tomo – muove da una puntuale ricognizione delle fonti, dal Platone del Fedro, dell’Alcibiade primo e del Timeo a Marsilio Ficino, passando per Eraclito (letto per il probabile tramite di Diogene Laerzio) e per il De anima aristotelico (la cui tesi dell’intima unione «ilemorfica» tra anima e corpo Bruno recepisce tuttavia criticamente, per la cifra riduzionistica che ritiene di cogliervi); e poi, ancora, Plotino, Agostino e Tommaso. Di qui si sviluppa l’analisi teorica della concezione bruniana dell’anima, che ne ripercorre le profonde oscillazioni sullo sfondo di una generale e originale connotazione ontologica.

L’anima è per Bruno difatti non soltanto né primariamente il principio dal quale dipendono le attività vitali e conoscitive dell’uomo, bensì l’universale principio ordinatore che innerva e muove il mondo per via del suo manifestarsi, in un processo di individualizzazione, nei singoli enti, ivi compresi i corpi celesti. È questo, si può dire, il cuore della teoria bruniana dell’anima come «intrinseco» e universale principio vitale, dinamico e cognitivo (anima del mondo e nel mondo, anima mundi e deus in rebus), e del suo continuo specificarsi in riflessi individuali: una prospettiva che, traducendosi (così, per esempio, nel De l’infinito) nell’affermazione dell’endiadi anima-natura, contribuirà in misura rilevante alla costruzione del moderno paradigma panteistico, dove Bruno figura tra le figure somme insieme a Spinoza e Toland, al primo Schelling e, mutatis mutandis, allo stesso Hegel.

Ovunque, in tale prospettiva, Dio è visibile e in una certa misura sensibile. Ragion per cui nel riconoscere il riverbero dell’Uno-Dio nell’originaria infinità del tutto consiste per Bruno, al di là dalle sue forme storiche, la retta religione. Si tratta, a ben vedere, di una visione dinamica della totalità (Dio si espande nell’infinito spazio-temporale) e di una cosmologia anti-deterministica che si collega al tratto più moderno della filosofia bruniana. L’atto conoscitivo costituisce qui un gesto libero e liberatorio, capace di varcare i confini del finito (si pensi all’ipotesi copernicana) e di signoreggiare la natura (per mezzo di un sapere magico nel quale non pare incongruo scorgere una primordiale figura della prassi).

Semplicità e rigore

L’anima dunque, da una parte, come principio del tutto e dell’unità delle parti; dall’altra, come forma plasmante che «attua e fa perfetto il tutto», connettendosi per questa via alla «sostanza»: all’Uno-tutto che dà luogo a una sempre rinnovata interazione tra il principio spirituale e quello materiale e, di qui, all’infinita pluralità degli individui. È precisamente il nesso anima-sostanza ad apparire infine cruciale nel quadro di questa problematica, nella tensione tra ontologia, filosofia pratica, epistemologia e riflessione teologica. Emerge così la complessità di uno dei temi cardinali della «nova filosofia», che questa sintesi enciclopedica restituisce senza semplificazioni né schematismi, spezzando i vincoli disciplinari caratteristici dell’enciclopedismo moderno.
L’esempio potrebbe ripetersi ad libitum. Ma la complessità delle voci – del loro ordito storico e analitico – non deve indurre in errore. Di un’enciclopedia – di un’opera di alta divulgazione – effettivamente si tratta, quindi di uno strumento che sconta la variegata composizione del proprio pubblico elettivo, composto non soltanto da cultori della materia e specialisti, ma anche da quel più vasto ambito di lettori colti – studiosi e studenti; e quel che in quest’epoca non esaltante resta della «société des gens de lettres» – che chiede e a buon diritto attende pagine leggibili e nette. Scevre da tecnicismi, tenute in esemplare equilibrio tra semplicità e rigore.