Ieri mattina è morto Giovanni Cesareo. Apparteneva a quella generazione che ci ha educati restando al nostro fianco, partecipando alle nostre stesse sfide, pur avendo alle spalle già l’esperienza che noi non abbiamo avuto. Quella dei giovani cresciuti sotto il fascismo che hanno trovato da soli la strada per la militanza comunista ed hanno saputo poi, alla soglia degli Anni Settanta, staccarsi da quel partito e da quella cultura per vivere l’innovazione politica e sociale che il Sessantotto ha portato con sé. Gli abbiamo invidiato i suoi anni trascorsi nella splendida Roma del dopoguerra, cronista de «L’Unità», critico televisivo e cinematografico, che ha vissuto gli anni d’oro del cinema italiano, amico di Mastroianni e di altre figure di quella stagione da leggenda. Lo abbiamo incontrato a Milano che si era lasciato portare nell’attivismo del Comitato Vietnam, lui che aveva già scritto negli Anni Sessanta per gli Editori Riuniti uno dei primi libri sulla centralità della donna nei processi di trasformazione, anticipando di qualche anno temi che sarebbero stati sviluppati e praticati in ben altra dimensione dal movimento femminista.

Inizia negli Anni Settanta la riflessione sui problemi della comunicazione, di cui diverrà uno dei massimi esperti a livello internazionale ed uno dei primi docenti, negli Anni Novanta, quando l’istituzione universitaria si aprirà a questo settore della ricerca. Ma il suo contributo maggiore all’innovazione culturale per la quale e con la quale abbiamo cercato di agire in quegli anni – gli «anni delle riviste» come sono stati chiamati – è stata la presenza all’interno della rivista «Sapere» diretta da Giulio Maccacaro, prima come capo redattore, come anima della rivista e poi, dopo la morte di Giulio, come direttore. È stata una rivista con cui molti establishment hanno dovuto fare i conti, quello della ricerca scientifica, quello del sistema sanitario, quello del potere delle multinazionali, farmaceutiche o energetiche. Un luogo di multidisciplinarietà vera, dove biologi e sociologi, medici ed economisti, operai e tecnici di fabbrica, docenti universitari ed operatori socio-sanitari, trovavano non solo modo di arricchimento reciproco ma occasione di presenza sul territorio. Ricordiamo l’intervento del gruppo di «Sapere» tra le popolazioni colpite dalla fuga della nube tossica dell’Icmesa, a Seveso, nell’Hinterland milanese, 1976.

Contrasti con l’editore portarono poi alla chiusura della rivista, fu Cesareo, assieme a un piccolo gruppo di altri collaboratori a non lasciar disperdere quel patrimonio multidisciplinare ed a riproporlo nella pubblicazione «Scienza ed esperienza», che resistette qualche anno ancora. Negli Anni Ottanta e Novanta si è dedicato quasi completamente alla teoria della comunicazione, entrando a far parte di importanti network internazionali, sempre pronto però a portare contributo di idee e di passione a qualunque iniziativa gli sembrasse in grado in produrre innovazione di pensiero, ma più che altro innovazione nel modo di essere un «intellettuale», nel modo di rapportarsi alla società, ai movimenti. Lo abbiamo avuto al nostro fianco nella progettazione della rivista «Altreragioni», che ebbe vita breve, e della Libera Università di Milano e del suo Hinterland (Lumhi), di breve vita anch’essa ma che ha lasciato un segno creando i presupposti teorici dell’attuale mobilitazione dei freelance.

Resterebbe da dire qualcosa sul suo stile umano ma qui mi mancano le parole, soffocate dalla tristezza per aver perduto un amico così caro. Un sola cosa. Giovanni veniva da nobile famiglia siciliana, ci scherzava su quel «nobile» eppure manteneva in tutte le cose che faceva quel distacco, quell’ironia, quella semplicità che lo rendevano una delle persone più piacevoli a starci insieme che io abbia conosciuto, nobile nell’animo e sofisticato nelle scelte intellettuali ma al tempo stesso capace di entusiasmi quasi infantili e pronto a buttarsi in una nuova avventura. Passionale ma anche stranamente docile in certe circostanze, come quelle che lo hanno portato ad una specie di enigmatico esilio negli ultimi anni della sua vita.