Il ritratto di un’Italia che cambia tra boom economico e contestazione; le tensioni tra intellettuali e Partito (nella fattispecie il Pci); le spinte verso un rinnovamento dei metodi per aggiornare una disciplina, la storia dell’arte, e farla uscire dalle secche dell’idealismo; le necessità di dotare il Paese di organi di tutela efficaci ed efficienti. Tutto questo si trova nel bel volume di Arturo Galansino, Giovanni Previtali, storico dell’arte militante – edito dal Centro Di di Firenze a euro 100,00 come triplo numero (149-152) della rivista «Prospettiva» –, che ricostruisce il percorso di Previtali (1934-1988), uno dei più acuti e impegnati intellettuali italiani; un intellettuale nel più pieno senso della parola, non solo uno storico dell’arte.
Questo di Galansino non è un volume convenzionale, non ricostruisce infatti tutta quanta l’attività di Previtali. Ha un taglio cronologico piuttosto preciso, i cui estremi s’individuano tra gli anni cinquanta e i primi ottanta del Novecento. E proprio questa scelta costituisce un grande pregio del volume: si ricostruiscono la rete degli incontri, le battaglie politiche, gli impegni editoriali, senza però la pretesa dell’esaustività (del resto sempre piuttosto rischiosa…) riguardo alle vicende dello studioso.
Previtali era arrivato a Firenze nel 1954 per studiare con Roberto Longhi, il più grande storico dell’arte del secolo passato. A poco a poco si era stretto tra l’allievo e il maestro un sodalizio che si spezzò solo nel 1970, con la morte di Longhi. Il maestro che Previtali si era scelto (aveva infatti abbandonato i corsi alla Sapienza di Roma per iscriversi a Firenze) aveva da poco fondato una nuova rivista, «Paragone», e aveva organizzato, o stava per organizzare, alcune esposizioni a Milano che gettavano un fascio di luce (e di coscienza civile) sulla via lombarda alla Realtà: la Mostra del Caravaggio, I Pittori della Realtà in Lombardia, Arte Lombarda dai Visconti agli Sforza. Era cioè, Longhi, uno studioso che in questi anni sentiva sempre più incalzante la necessità di una vocazione civile del mestiere di storico dell’arte, e che tentava di alfabetizzare l’Italia dal punto di vista del linguaggio figurativo, creando assieme ai giovanissimi Alberto Martini e Franco Russoli le prime grandi collane popolari di storia dell’arte: i «Maestri del Colore» e i «Maestri della Scultura», di alta qualità nei contenuti e nelle fotografie e dal costo bassissimo.
Di Longhi Previtali ammirava la concretezza, la capacità di analisi ravvicinata delle opere d’arte; un’analisi che poneva sempre al centro del discorso la specificità del linguaggio figurativo, mantenendosi lontano tanto da una critica ‘psicologico-espressionistica’ (è una formula di Previtali) quanto dalle derive iconologiche.
La concretezza dell’analisi longhiana, Previtali non l’abbandonò più, riuscendo semmai ad arricchirla aprendo il suo sguardo verso temi e piste di ricerca nuovi.
La tesi di laurea discussa con Longhi nel 1957 sarebbe diventata, neanche un decennio dopo (1964), un libro, pubblicato da Einaudi, capace di imporsi come una vera e propria pietra miliare. La Fortuna dei primitivi, infatti, non è un testo fondamentale solo per chi si occupa di storia dell’arte: l’intelligenza, l’acutezza e la novità di quel libro le si può cogliere scorrendo le lettere che a Previtali giunsero, adesso raccolte nel libro di Galansino.
Ma anche il Giotto e la sua bottega, edito dai Fratelli Fabbri appena due anni dopo (1967), sanciva una vera rottura rispetto al passato: la volontà di studiare Giotto insieme ai suoi collaboratori (la ‘bottega’, appunto), di calarsi cioè nella concretezza dei processi produttivi, di rendere ragione della diffusione dello stile dell’artista grazie allo studio del contesto operativo, lasciavano trapelare la novità dell’approccio di Previtali, fortemente materialista e marxista, in grado di allontanarsi da un’idea di monografia segnata dall’idealismo, che distingueva le opere secondo i principi di ‘poesia e non-poesia’ eredi del peggiore Croce. Questo modello avrebbe dato i suoi frutti in una memorabile mostra, messa su a Siena nel 1985, dedicata a Simone Martini, che, col convegno relativo, avrebbe gettato le basi per una completa riconsiderazione dell’artista senese del Trecento.
Proprio la militanza politica di Previtali, rivendicata con forza sino agli ultimi giorni di vita, esce illuminata dalle pagine di Galansino: non una semplice scelta di campo, ma adesione vera e profonda. E si spiegano così anche certe posizioni di Previtali che potrebbero, oggi, apparire di retroguardia: il sostegno all’arte realista e la sostanziale incomprensione e diffidenza verso l’astratto e le nuove forme artistiche degli anni sessanta, in particolare la Pop Art, che trionfò alla Biennale di Venezia del 1964.
La messe, enorme, di documenti raccolti in fondo al volume permette di seguire da presso l’esperienza umana e intellettuale di Previtali, dagli anni di formazione tra Firenze, Parigi e Roma, sino agli anni del triste ‘naufragio’ dell’importante impresa editoriale per Einaudi (e siamo alla fine degli anni settanta) della Storia dell’arte. Galansino ha offerto al lettore una serie preziosa di materiali, molto spesso recuperando tasselli importanti di tante vicende che videro coinvolto Previtali. In particolare il carteggio con Fernando Tempesti, che di Previtali fu amico strettissimo, si legge come un vero e proprio romanzo di formazione, per non parlare poi del bellissimo ‘diario parigino’, che Previtali stese nella capitale francese tra l’aprile e il maggio del 1961. Ma anche le lettere tra Longhi e il più giovane allievo ci portano all’interno di un vero e proprio cantiere di lavoro, quale si definì attorno alla rivista del ‘Capo’, come Tempesti e Previtali soprannominavano Longhi nelle loro lettere.
Quel che affiora dalle pagine di questo libro è anche il ritratto corale di tutta una generazione, cresciuta negli anni quaranta e cinquanta, e che si affacciava alla maturità umana e professionale in una stagione difficile, stretta tra i problemi del dopoguerra e la necessità di progettare il futuro per il Paese. Emerge, ancora, la dialettica generazionale tra il più anziano Longhi (nato nel 1890) e alcuni dei suoi allievi, come Francesco Arcangeli (1915-1974) o Previtali stesso, all’interno della redazione di «Paragone».
Dopo la morte di Longhi nel 1970, la redazione della rivista si spaccò, e ne nacquero polemiche e dissapori, tanto che nel 1971 Previtali si dimise; ma già qualche anno dopo, nel 1975, fondò, insieme all’archeologo Mauro Cristofani, una nuova rivista, «Prospettiva».
In quel momento di sbandamento, ideologico e metodologico, ancora una volta Previtali seppe guardare al di là degli steccati disciplinari e dei confini nazionali, rivolgendosi allo strutturalismo, alla linguistica storica e alla storia della cultura, ma mantenendo sempre al centro del suo discorso, perno irrinunciabile e fondante, l’opera d’arte. Esemplari in questo senso proprio gli studi ‘territoriali’ dedicati alla scultura in Umbria, comparsi su «Prospettiva» tra il 1982 e il 1986. Ancora una volta la riscoperta, dal punto di vista del linguaggio figurativo, di un’intera regione spettava a Longhi. Previtali, partendo da quell’esemplare lezione di metodo, ampliò l’orizzonte rivolgendo il suo sguardo alla scultura, e giunse a proporre una ‘geografia figurativa’ che si sovrapponeva alla geografia linguistica dei dialetti locali. L’analisi figurativa, quella dello stile delle opere, allora, poteva essere utilizzata alla pari degli altri strumenti d’analisi, come quelli della linguistica storica, appunto.
Un’attenzione al territorio che si esplicava anche nell’attenzione, costante, al patrimonio artistico di un Paese già disastrato, che si concretizzava in articoli dai toni sempre molto accesi su «Paragone» e «Rinascita», fino a identificare una vera e propria ‘questione meridionale’ nell’ambito del patrimonio.
L’insegnamento universitario, in particolare a Siena, dove fondò una scuola dalla ben precisa fisionomia, permise anche a Previtali, da infaticabile organizzatore quale fu, di rinnovare con nuova linfa una «fattiva collaborazione tra Università, Soprintendenza, enti pubblici e privati» (come scriveva Paola Barocchi nel 1998), che avrebbe dato i suoi frutti in una serie impressionante di mostre, convegni, campagne di tutela in città e nel suo territorio. Proprio la dimensione dell’insegnamento, così come era stato per Longhi, avrebbe fatto storia nei molti allievi che Previtali ebbe tra le diverse università in cui insegnò: Messina, Siena appunto, e Napoli.
È dunque, questo di Galansino, un libro davvero prezioso e poco usuale, fatto che non può che accrescerne i meriti; un libro che, prendendo a prestito le parole di un Previtali ventiduenne che scriveva alla madre (16 novembre 1956), stimola «l’ineffabile piacere di usare il cervello».