Quella di ieri in via Bargoni è stata una giornata convulsa e drammatica. Vissuta tra la tristezza nel cuore e la necessità di spiegare, provare a capire quanto successo e raccontare un altro, l’ennesimo, fatto tragico in un paese che da tempo seguiamo con grande attenzione e rigore.

Questa volta l’Egitto ci ha colpito da vicino: uno studente italiano, un ragazzo desideroso di scoprire, studiare e spiegare l’evoluzione di un mondo che tanti affascina e che sul manifesto ha sempre trovato grande spazio, firme storiche, momenti di intenso giornalismo. In redazione lo sgomento è iniziato la sera di mercoledì, quando dall’Egitto – a giornale praticamente già chiuso – sono arrivate le prime notizie sul ritrovamento di un cadavere. Nessuna conferma ufficiale, ma le condoglianze del nostro ministro degli Esteri alla famiglia Regeni, hanno subito riempito i presagi di oscure conferme.

La mattina di ieri – infatti – si è aperta con il tragico riconoscimento e la certezza che quel corpo senza vita fosse quello di Giulio. Alla morte si sono aggiunti subito gli indizi sui macabri e terribili segni di torture, insieme al mistero sulle modalità che hanno portato il ricercatore friulano a quella che è stata definita «una morta lenta».

Nemmeno il tempo di capire come impostare il giornale che la giornata ha preso una piega di quelle che mai vorresti vivere. Giulio Regeni ha collaborato qualche volta con il manifesto. Proponeva articoli concentrati sui diritti dei più deboli, dei lavoratori e dei sindacati. In redazione è iniziata presto la girandola delle chiamate dei colleghi, l’arrivo delle telecamere che cercavano di sapere qualcosa di più del giovane studioso, e del suo lavoro da freelance con noi.

Mentre le confuse notizie dall’Egitto e dall’Italia si susseguivano, abbiamo deciso di pubblicare l’ultimo articolo che Giulio Regeni ci aveva mandato. E che oggi pubblichiamo col suo vero nome.

In una mail, come ne arrivano tante, il ragazzo chiedeva di pubblicare l’articolo con uno pseudonimo. Lo aveva fatto altre volte. Non è l’unico in quei paesi. Avremmo pubblicato anche quel pezzo, come gli altri, con lo pseudonimo, consapevoli che una richiesta del genere, fatta da una persona in un posto come l’Egitto di oggi, fosse assolutamente legittima. Dovevamo proteggere, come sempre facciamo, la possibilità per i nostri collaboratori di non avere ripercussioni a seguito di un articolo pubblicato sul giornale.

Come tanti altri studiosi, dottorandi, ricercatori e professori, da varie aree del mondo, anche Giulio Regeni ha proposto articoli sulla situazione sociale, con particolare riferimento alle questioni legate ai lavoratori e ai sindacati indipendenti in Egitto. Con un taglio da news analysis che abbiamo sempre apprezzato: uno stile internazionale, preciso e circostanziato che permetteva di respirare l’atmosfera sociale del paese, insieme all’esposizione chiara di un quadro macro economico e sociale tipico di chi ha dimestichezza con le analisi, le riflessioni teoriche, unite alla capacità di circoscrivere un momento storico particolare.

L’ultimo articolo mandato (e pubblicato oggi) sulle nostre pagine, riguarda proprio i sindacati. In uno scambio di mail a gennaio con lui e un altro collaboratore avevamo discusso proprio di quel pezzo. L’uscita era stata rallentata dall’incedere dei mille fatti di cronaca che un giornale non può «bucare». Con grande cortesia Giulio Regeni ci ha chiesto i motivi della mancata pubblicazione fino a quel momento. Si tratta di uno scambio classico che avviene in qualunque redazione.

Ieri abbiamo riflettuto a lungo sull’opportunità di pubblicare il reportage. Abbiamo constatato – anche da scambi con altri giornalisti sul campo – come l’atmosfera al Cairo sia percepita come «pesante» e «irrespirabile»: segnali dunque non registrati solo da Giulio Regeni.

Abbiamo risposto a tutti, cercando di fornire gli elementi a nostra conoscenza, nonostante la tristezza infinita per la morte di un ragazzo di 28 anni. Una storia di cui mai avremmo voluto occuparci in questo modo.