Abbiamo raggiunto al telefono negli Stati uniti, Joel Beinin, professore di Storia del Medio Oriente dell’Università di Stanford, uno dei massimi esperti di sindacati indipendenti in Egitto ed autore del libro, appena uscito, Workers and Thieves: Labor Movement and Popular Uprisings in Tunisia and Egypt (Paperback, 2015). La lettera che chiede la verità per Giulio della sua supervisor nella ricerca dottorale, Maha Abdelrahman (Cambridge University), e della nota studiosa di Cambridge di movimenti operai, Anne Alexander, ha toccato quasi 5mila adesioni in 90 paesi. Non si contano i ricordi e le iniziative per ricordare Giulio tra accademici e ricercatori. Tra le altre iniziative, l’Università di Cagliari dedicherà a Giulio Regeni il premio di Laurea GramsciLab.

Qual è stata la sua reazione alla notizia del ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni?
È una tragedia: un attacco a tutti gli stranieri. Si tratta di un attacco alla libertà accademica. Non che in Egitto ci sia mai stata molta libertà accademica ma ora è stata ristretta in modo significativo. Le prime dichiarazioni che parlavano di incidente stradale sono ridicole. Quindi sono sconvolto non tanto dalla repressione che ha avuto l’accademia in Egitto ma dall’estensione della repressione del regime.

Hanno provato in ogni modo di fermare le voci straniere critiche che volevano recarsi in Egitto, volevano imporre un sistema di visti ma ora hanno optato per il lancio di un messaggio inequivocabile con l’uccisione di Regeni. Il suo omicidio può essere raccontato come un attacco contro giornalisti, stranieri e ricercatori?
Questa non è una novità perché giornalisti e stranieri vengono attaccati sin dal 2011. Di sicuro si tratta di un avvertimento a tutti gli stranieri affinché non vadano in Egitto per fare cose che possono infastidire le forze di sicurezza.

Si tratta poi di un messaggio molto preciso alla sinistra, ai movimenti transnazionali che pure hanno avuto un ruolo nel mobilitare gli attivisti nel 2011?
Il regime colpisce indistintamente qualsiasi voce critica. Chiunque non sia in accordo completo e senza riserve con il programma di al-Sisi, così come hanno già fatto con i Fratelli musulmani. I politici liberali, Amr Hamzawi e Emad Shaheen, hanno lasciato il paese perché altrimenti rischiavano di essere processati. I critici vengono colpiti da qualsiasi direzione politica essi vengano.

Crede che i movimenti sindacali che studiava Giulio fossero infiltrati?
È una possibilità. A questo punto ogni attività in Egitto può essere infiltrata dai Servizi segreti, ma non è necessario puntare sulle piste cospiratorie perché le persone vivono già abbastanza in uno stato di paranoia e queste spiegazioni non li aiutano di certo a capire.

Si tratta quindi di un’uccisione casuale?
No, non è un arresto casuale. È stato arrestato in quanto straniero. Anche se si fosse trovato con altre persone una volta identificato come cittadino italiano sarebbe stato consegnato alle autorità giudiziarie per ufficializzare il fermo. Penso però che a questo punto serva solo mettere la massima pressione sul governo egiziano per indagini credibili. Ma non credo che questo accadrà. Se fossi stato uno straniero a lui vicino in questo momento avrei lasciato il paese.

L’Università americana del Cairo (Auc) con la quale Giulio era affiliato avrebbe potuto fare qualcosa di più per chiedere indagini celeri sulla sua scomparsa?
Di sicuro le associazioni accademiche negli Stati uniti e in Gran Bretagna possono fare di più dell’Auc. L’Università americana al Cairo è molto vicina al regime. Non sono mai stati particolarmente coraggiosi ad eccezione di alcuni membri dello staff che agiscono a titolo personale.

Ha letto l’articolo di Giulio Regeni, pubblicato dal manifesto?
Sì, Giulio stava svolgendo una ricerca molto accurata. È vero che i sindacati indipendenti sono deboli in questa fase ma esistono.

Non si è neppure assopita la contestazione operaia?
Tra dicembre e gennaio gli scioperi continuavano ad aumentare. Prima della repressione attuale c’erano contestazioni di disoccupati, laureati e insegnanti e la mobilitazione dei colletti bianchi. Esiste però un vuoto tra le contestazioni operaie e la politica, i rappresentanti di categorie non fanno dichiarazioni politiche ma si limitano a denunciare l’assenza di lavoro.

Si è mai sentito minacciato nel suo lavoro di ricerca in Egitto?
No, perché sono sempre stato molto attento. Ma dopo il golpe militare le cose sono cambiate.