Rinviata la stretta sul Csm «per garbo istituzionale» a quando la nuova consiliatura sarà insediata (così ha chiesto Napolitano), il vertice di maggioranza sulla giustizia è scivolato via senza intoppi. All’uscita ieri dal ministero di via Arenula, dichiarazioni identiche di Pd, Ncd e centristi in genere: grandi passi in avanti. Addirittura, secondo il democratico Verini, «la convergenza è andata oltre le aspettative». Nel senso che il partito del ministro Orlando intravede una soluzione anche alla partita sul Csm. Ma intanto porta a casa l’accordo, già fatto, sul civile e sui dossier meno scottanti che riguardano le magistrature onoraria, contabile e amministrativa. Con la riunione di ieri può dirsi cosa fatta anche l’accordo sulla nuova responsabilità civile dei magistrati.

Se al famoso consiglio dei ministri del 29 agosto ci sarà spazio solo per un decreto e un disegno di legge sulla giustizia civile, anche la responsabilità dei magistrati è piuttosto urgente. Perché c’è ancora il baco dell’emendamento Pini nella legge comunitaria – quello con il quale Lega e Forza Italia (e qualche Pd) hanno introdotto alla camera il risarcimento diretto delle toghe (la commissione lo ha cancellato, ma deve esprimersi l’aula) – e perché a luglio l’esecutivo ha bloccato d’autorità una simile riforma portata avanti dal socialista Buemi. Il governo presenterà un disegno di legge: quello che adesso è condiviso dalla maggioranza. Il risarcimento resta indiretto, ma la rivalsa dello stato sulla toga diventa obbligatoria e potrà colpire la metà dello stipendio mensile. Inoltre viene cancellato il filtro del tribunale sull’azione risarcitoria. Accolto il meccanismo del risarcimento indiretto, gli alfaniani e il socialista avevano ripiegato sulla soglia aggredibile dallo stato, considerando la metà dello stipendio non sufficiente a coprire danni ingenti. La soluzione passa per l’assicurazione obbligatoria, le toghe cioè dovranno fare come i medici.

La schiarita nella maggioranza sulla responsabilità civile è anche la ragione per la quale il Movimento 5 stelle ieri sera ha comunicato che non parteciperà all’incontro che oggi Orlando dedicherà alle opposizioni. Le motivazioni appariranno sul blog, ma sono anticipate dalle parole del capogruppo M5s in commissione giustizia: «Il ministro non ha risposto alla nostra richiesta di chiarimenti, le priorità sono ben altre rispetto alla responsabilità civile dei magistrati». La defezione grillina non potrà che facilitare il confronto con Forza Italia, le cui posizioni restano sulla carta assai distanti da quelle di Orlando, ma bisogna ricordarsi della volontà di Berlusconi di replicare lo schema che ha condizionato la riforma costituzionale. La differenza è che per la riforma della giustizia non si interverrà con modifiche alla Costituzione. La linea del ministro è stata certificata ieri, con l’assenso anche degli alfaniani che pure partivano da richieste opposte. Il viceministro Costa, che è del Nuovo centrodestra, ha fatto capire bene le ragioni di questo mezzo passo indietro: «Intervenire con leggi ordinarie è molto importante perché delimita le riforma della giustizia nell’ambito della maggioranza». Berlusconi, dunque, non è indispensabile com’è stato per il bicameralismo.

Togliere dal tavolo le modifiche al titolo IV della Costituzione significa rinunciare all’idea del Nuovo centrodestra (già nella riforma «epocale» tentata da Alfano guardasigilli) di sorteggiare il componenti del Csm (che per la Carta, art. 104, devono essere eletti). E così per perseguire l’obiettivo di frenare il condizionamento delle correnti sul Csm, alla maggioranza non resta che il sistema del voto disgiunto a più liste, ammesso che funzioni. Senza cambiare la Costituzione, poi, non si potrà nemmeno prevedere quella Alta corte per i procedimenti disciplinari a carico dei magistrati che sarebbe piaciuta ad Alfano (e a Berlusconi). Il disciplinare resta nel Csm (art. 105), Orlando insisterà però un’incompatibilità assoluta tra i «giudici dei giudici» e i consiglieri che dovranno occuparsi delle nomine. Cioè tutti: il nuovo plenum sarebbe dunque perennemente a rischio quorum (il problema del numero legale si era già posto con la modifica del 2002). Soluzione? Aumentare il numero dei componenti del Csm di 6 unità, riportandoli a 30 com’era prima della riforma Castelli. La riforma che il centrosinistra, negli anni, ha più volte promesso di voler cancellare, e adesso vuole aggiustare.