La chiesa della Medaglia miracolosa è un doppio ottagono, come una torta a due strati, l’interno si affolla rapidamente per il funerale di Davide Bifolco, il ragazzo ucciso la notte del 5 settembre dal colpo di pistola esploso da un carabiniere, uscito dalla volante con il proiettile in canna e senza la sicura, per fermare tre ragazzi in motorino. La madre si sente male, la portano via ma rifiuta di allontanarsi. Così a braccia la riportano accanto alla bara. Il padre è lì, vicino al feretro aperto, non si allontana mai. Il fratello Tommaso (agli arresti domiciliari, accusato di furti in appartamenti) ha avuto il permesso di partecipare ma non resiste alla vista di Davide e si allontana. I ragazzi del quartiere con le magliette «Davide vive» entrano in fila, divisi per quattro, ginocchia a terra lungo la navata, come i penitenti della Madonna dell’Arco.

Fuori ci sono i gonfaloni delle confraternite religiose, un mare di fiori e la gente del rione. In rappresentanza del comune c’è l’assessore Sandro Fucito. C’è anche la senatrice Pd Anna Maria Carloni, moglie dell’ex governatore Antonio Bassolino. E poi c’è Antonella Leardi, la madre di Ciro Esposito, il tifoso azzurro ucciso dal capo della curva romanista Daniele De Santis prima della finale di Coppa Italia: «Sono venuta qui a condividere il dolore di una madre» spiega prima di allontanarsi.

All’interno i genitori non hanno la forza di leggere l’ultimo saluto a Davide, ci pensano la sorella Annachiara, con i ricordi familiari, e uno dei cugini cui tocca il messaggio al quartiere e alla stampa: «Qualcuno sta cercando di farci passare per camorristi. Qui, a tutti noi, Davide sta mandando un messaggio che, a nome di Gianni e Flora, i suoi genitori, vi trasmetto: pace, pace, pace. Siete tutti arrabbiati come noi, ma abbiate fede: avremo giustizia, avremo quello che tutti stiamo cercando».

La bara viene richiusa, la maglia biancorossa della squadra di calcio in cui giocava e la sciarpa della Roma la ricoprono. A spalle viene portata nell’auto, volano i palloncini azzurri, la folla applaude prima di accodarsi per l’ultima passeggiata con Davide nel rione, fermata obbligatoria la sala giochi che frequentava, prima della sepoltura nel cimitero di Fuorigrotta. Gli amici dal sagrato della chiesa leggono al microfono la loro personale lettera all’amico: calcio, biliardo, ragazze, discoteca, la vita di un sedicenne racchiusa in poche battute, poche ma talmente dolorose da non riuscire a leggerle se non dopo aver fatto sfogare le lacrime. «Era un bravo ragazzo, dovete scriverlo» ti dicono le mamme degli amici, occhi rossi e tanta rabbia. La zia racconta: «Io vivo a via Marina, pure è una zona popolare ma è meglio di qua. Qui non c’è niente».

Ma di che è fatto il niente del Rione Traiano? «Ci sarebbero le condizioni per vivere bene. Palazzine basse, viali, giardini. Negli anni ’60 ci vivevano prevalentemente le famiglie dei lavoratori della vicina Italsider di Bagnoli. Gente splendida, con una cultura operaia. La chiusura dell’impianto, la mancanza di lavoro e, soprattutto, gli ultimi cinque anni di crisi hanno fatto sprofondare il quartiere nella povertà estrema. È chiaro che così lo spaccio diventa l’unica possibilità: tre notti di lavoro sono uno stipendio. I clienti vengono da Fuorigrotta, Posillipo, il Vomero. È più vicino e più sicuro di Scampia» racconta Angelica Viola della cooperativa L’Orsa maggiore, che lavora con i ragazzi della zona dagli otto ai sedici anni. Hanno cominciato venti anni fa, la famiglia Bifolco la conoscono bene. I loro principali progetti sono l’educazione sul territorio e il tutoraggio per le mamme giovani. «Dalla primavera a oggi sono almeno sei i ragazzi sotto i trent’anni morti per i motivi più svariati. Le istituzioni sono assenti e non intendo le forze dell’ordine ma quel tessuto che dovrebbe dare un esempio positivo. Perché per rendere le strade sicure non ci vogliono i recinti ma interventi coordinati tra municipalità, terzo settore e cittadini che facciano da contrasto a povertà, dispersione scolastica e marginalizzazione».

Negli ultimi cinque anni la Campania ha subito un taglio di 100milioni alla legge 328 che regola le politiche sociali: «Negli anni 90 gli interventi erano inseriti in una cornice coerente, che assicurava un risultato – conclude Angelica. Oggi abbiamo finanziamenti spot e saltuari, nessun investimento nel capitale umano. Nel rione ci sono due licei e un istituto tecnico ma le scuole superiori in tutta la zona ovest sono poche e disperse, nessuna a Pianura. I ragazzi che continuano gli studi dopo le medie sono pochi e hanno alle spalle famiglie molto determinate. Per gli altri c’è il richiamo della strada. In venti anni una storia terribile come quella di Davide non era mai successa, si rischia che diventi un detonatore sociale e non c’è alcuna base su cui ricucire lo strappo terribile che si è prodotto.